Inaugurata la mostra “Ciak, si scala!” al Museo Nazionale della Montagna

15 Luglio 2022

E’ stata inaugurata ieri la mostra “Ciak, si scala!” presso il Museo Nazionale della Montagna di Torino. Si tratta di una mostra ispirata al volume “Ciak, si scala! Storia del film di alpinismo e arrampicata” di Roberto Mantovani, che ripercorre 120 anni di alpinismo e arrampicata passando per film a soggetto, riprese di documentazione e pellicole di animazione, immagini di manifesti e foto di scena. 

Con l’occasione, abbiamo rivolto alcune domande a Marco Ribetti, curatore della mostra e Coordinatore dell’International Alliance for Mountain Film, che ci ha tolto qualche curiosità a riguardo.

Come è nata l’idea di creare una mostra ispirata al libro di Roberto Mantovani “Ciak, si scala!” e perché ritiene sia importante?
Il passaggio dal libro alla mostra è stato in qualche modo “naturale”: seguendo il lavoro di Mantovani, mi ero occupato di fornire l’apparato iconografico per l’opera, selezionando i materiali negli archivi del Museo Nazionale della Montagna, dove conserviamo oltre 8000 tra manifesti, locandine e foto di scena di cinema di montagna.

La ricerca è stata imponente, ben articolata sui temi che caratterizzano i capitoli del libro, e già durante il lavoro era evidente che sarebbe stata un’ottima base su cui impostare un percorso espositivo. Il valore aggiunto della mostra è quello di permettere di vedere i manifesti originali, nelle loro dimensioni reali, apprezzando, soprattutto nelle litografie più antiche, la qualità della stampa oltre che delle scelte grafiche. Allo stesso tempo, lungo il percorso è possibile visionare alcuni spezzoni di film, seppur con i limiti dei copyrights.

Come si è evoluta la narrazione dell’alpinismo per immagini nel corso degli anni?
Il cinema in qualche modo codifica le tendenze della vita reale e questo è evidente anche in quello dedicato all’alpinismo. Dopo il periodo dei pionieri, tra gli anni Venti e Trenta del Novecento nelle aree di lingua tedesca prende il sopravvento una narrazione che vede l’uomo/alpinista scontrarsi in battaglie epiche con le forze della natura, in un’ottica che si adatta ampiamente alle ideologie che dominano quel periodo. Le immagini grafiche sono spesso cupe, tragiche e cariche di pathos. Nel secondo dopoguerra, soprattutto nel mondo del cinema alpinistico francese, si sviluppa una sorta di reazione che vede l’uomo molto più integrato nella natura, entrare letteralmente in punta dei piedi sulle grandi pareti. Di nuovo se ne trova traccia nei materiali promozionali. E gli esempi potrebbero continuare decennio dopo decennio.

Quanto è importante la narrazione multimediale dell’alpinismo rispetto a quella esclusivamente scritta attraverso diari, memoriali…?
Non sono in grado di stabilire quale sia più importante, ma seguendo da tanti anni il cinema di montagna mi pare che la produzione multimediale sia quantitativamente superiore a quella letteraria. Ultimamente, grazie alla disponibilità di ottime tecnologie a prezzi ridotti, questa tendenza è ancora aumentata, ma resta da vedere con quali risultati. Personalmente in un film di alpinismo o arrampicata cerco qualcosa che vada oltre il semplice racconto dell’impresa e che in qualche modo riesca a rendere l’opera unica. Non capita spesso e quando avviene, in genere, è perché il regista ha la capacità di rielaborare il materiale alpinistico secondo canoni cinematografici, oltre che in base alla propria sensibilità. Tutto il resto è noia, nel senso che senza un chiaro “tocco” registico, le imprese diventano tutte uguali e l’adrenalina cala velocemente…

Crede che la narrazione per immagini possa avvicinare maggiormente le persone al mondo dell’alpinismo e creare una maggiore comprensione verso la passione che spinge gli alpinisti a inseguire il “sublime”?
In generale non c’è dubbio che ciò avvenga, infatti i frequentatori delle alte quote e gli spettatori dei film di montagna stanno aumentando di pari passo. Ma vale quel che ho risposto sopra, a cui aggiungerei che la grande produzione di immagini che caratterizza questo momento, se da un lato aiuta a capire la passione degli alpinisti, dall’altro tende a standardizzare le situazioni, rendendo più difficile distinguere l’impresa dalla routine e capire, tra tante belle inquadrature, quali siano i personaggi e i valori da prendere a esempio.