Addio ad Agostino Gázzera, per tutti “Güstìn”

16 Gennaio 2019

Una vita da operaio specializzato, un'alpinista del fine settimana, un vero e proprio simbolo della montagna

Si sono svolti ieri mattina, martedì 15 gennaio, a Carmagnola, con la partecipazione di una grande folla, composta anche da tanti scalatori, escursionisti e semplici appassionati del mondo delle altezze di numerose sezioni piemontesi del CAI, i funerali di Agostino Gázzera, classe 1927, autentica icona della montagna e alpinista fin dall’adolescenza. Anni in cui “Güstìn” risaliva le valli alpine del Nord Ovest a colpi di pedale sulla sua vecchia bicicletta, per poter calpestare sentieri e mulattiere, raggiungere i colli in alta quota o salire su qualche cima importante, spesso da solo ma talvolta anche in cordata con gli amici.

Una vita da operaio specializzato, fino alla pensione, e l’orgoglio di una cultura costruita a poco a poco con la frequentazione delle scuole serali, con mille letture e in prevalenza da autodidatta, “Güstìn” era nato a Bra, in provincia di Cuneo, dove aveva trascorso l’infanzia e parte dell’adolescenza, prima di trasferirsi nel 1945 a Torino con la famiglia. Dal 1970 aveva poi preso casa a Carmagnola, a quel tempo nuova sede del reparto fonderie della Fiat.

Alpinista del fine settimana, Agostino era un buon scalatore e aveva messo insieme un nutrito curriculum di brillanti ripetizioni sulle Alpi Occidentali, dalle Marittime al Monte Bianco, cui si aggiungeva qualche via nuova. Poi, nel 1963, sullo Sperone della Brenva, un congelamento gli aveva causato l’amputazione della parte anteriore di entrambi i piedi.

Roba da fargli appendere corda e piccozza al chiodo. Ma lui no: aveva continuato a frequentare la montagna più di prima. Non solo lungo i sentieri e le mulattiere, ma anche percorrendo vie alpinistiche di una certa difficoltà, e dedicandosi all’insegnamento delle tecniche di scalata ai giovani soci del CAI. E anche in tarda età, persino dopo aver superato la boa degli ottant’anni, continuava a cimentarsi sulle cascate ghiacciate, sulle quali si destreggiava con calma e sicurezza.

Assai noto negli ambienti alpinistici, con gli anni Güstìn era diventato un vero e proprio simbolo della montagna. Barbone incolto e una chioma fluente di capelli candidi, era conosciuto in tutte le Alpi e anche in molte zone degli Appennini.

Nella primavera del 2017, per i tipi di Montura Editing, Roberto Mantovani e Daniele Lira avevano firmato un libro fotografico che racconta la vita del protagonista (La lunga storia di Agostino Gázzera). Nella parte finale del testo, gli autori raccontano che Agostino, anche a ottant’anni suonati, era sempre il primo ad arrivare ai raduni del CAI e l’ultimo a rientrare a casa dopo le feste in rifugio, pronto magari a un’alzataccia la mattina successiva, se scopriva la possibilità di aggregarsi a qualche comitiva di conoscenti in partenza per qualche cima.

E quando la compagnia degli amici, sfinita per l’ora tarda e per le libagioni, stava ormai per dissolversi nella notte, a chi gli chiedeva informazioni sulle sue mosse successive, com’è capitato, al termine delle uscite sul campo, ai due redattori del volume citato poco sopra, rispondeva, invariabilmente in dialetto piemontese: «E adess? Adess andùma a canté ‘n’t ’nàutra cùrt» (adesso andiamo a cantare in un altro cortile).

Addio, Agostino! Un grande abbraccio dal Presidente generale CAI e da tutti i soci del Sodalizio.