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La montagna che cambia

di Valentina Saggese

Alzo lo sguardo verso il cielo e lo scopro tempestato di stelle che somigliano a diamanti, sono sempre lì, ogni sera, ogni volta che facciamo tardi.

Non ci sono grandiose avventure da raccontare questa volta, e neanche foto ad ostentare chissà quali capacità. Ci sono soltanto sensazioni, pensieri, brevi istanti immersi nella concentrazione più pura e forte;  a volte dispiaceri o delusioni in un momento della mia vita in cui mi sento spaesata perché incapace di scegliere una via, di trovare anche solo l’attacco o di avvistare la vetta da lontano. Mi limito a brevi emozioni che durano poco, mi limito a vivere di adrenalina e mi limito a dissetarla cercando di andare oltre il mio limite, e lo faccio conficcando le mie picche,  da prima di cordata, su tiri che forse dovrebbero ancora attendermi, ma senza i quali io in questo momento non potrei stare.

Non è forse questo l’alpinismo? Ricercare o dimostrare a se stessi qualcosa o addirittura un anestetico alle negatività della vita.

E in un momento così accade qualcosa che cambia completamente il mio atteggiamento nei confronti dell’alpinismo e della montagna a me molto cara.

Ora sono qui al caldo, a mente fredda,  lontana da quell’istante così remoto e così vicina a qualcuno che a mala pena conoscevo. Seduta davanti al mio camino, anzi al nostro, mio e di Gian, mi sento protetta ma con quell’immagine fissa nella mia testa, non vuole dissolversi, non vuole essere dimenticata.

Concentrata a pieno su me stessa disarrampico il pendio nevoso che ha la consistenza del cemento e l’aspetto di una tavola bianca. Mi fa un po’ paura, sembra tutto un enorme scivolo pronto ad inghiottirmi. Altri prima di noi sono passati di qui, ma le tracce non sono affatto visibili, a mala pena rimangono i segni delle punte dei miei ramponi e di quelli di Gian… addosso il timore di scivolare. Muovo sistematicamente picche e ramponi conficcandoli in quella neve pressata. Silenzio intorno me, solo il rumore leggero del vento e il rumore lieve dei nostri gesti.

Intanto ripenso alla cascata affrontata e alla fame di ghiaccio e di difficoltà sempre più ardue che comincio a sentire. È qualcosa di incontrollabile: oggi la cascata non aveva un grado teorico molto alto, ma quel tiro un po’ più verticale non permetteva di proteggersi bene, il ghiaccio come granita non accettava le viti obbligandomi a procedere con l’unica protezione possibile in quel momento, vale a dire la mia concentrazione e la mia forza mentale. Ultimamente le cascate che sto affrontando mettono spesso a dura prova le capacità mentali più che fisiche, allenando la mia testa in vista del periodo alpinistico, il mio preferito.

Si, proprio l’alpinismo, l’essenza delle attività in montagna, il mio fedele alleato che oggi inaspettatamente ritroviamo sulla via di discesa, proprio in quel pendio nevoso di neve pressata.

Usciti dalla cascata, una decina di metri più su, ci troviamo su di un vasto pianoro innevato ; qui la neve è stata plasmata dal forte vento che erode e poi accumula creando delle fantastiche e uniche forme. Distendo le braccia sentendomi quasi un uccello pronto a prendere il volo… chiudo gli occhi un istante e sento di essere felice e pronta ad affrontare il mondo.

Ma poco più giù il pianoro comincia ad inclinarsi  e a farsi inospitale: procedo lentamente con la paura di scivolare, e insieme a Gian cerchiamo di trovare il punto di inizio del facile sentiero. Spesso le difficoltà maggiori non si incontrano sulla via di salita ma su quella di discesa, soprattutto in questo anno secco con pochissima neve mista a ghiaccio. Io e Gian procediamo in conserva corta e molti tratti li affrontiamo disarrampicando. Siamo ora sul tratto più ripido e pericoloso, ma intravediamo il sentiero, ci siamo quasi.

Silenzio e pace intorno a noi, ma poi un urlo forte, Gian che mi dice disperato di spostarmi, io che mi sposto e d’istinto  guardo in alto e vedo qualcosa che non avrei voluto vedere: quello scivolo maledetto sta inghiottendo un ghiacciatore, un alpinista, un uomo.

Ma a cosa pensi in quell’attimo in cui vedi un alpinista come te precipitare in quel  modo? Per un istante si ferma il tempo e  in cuor tuo sai che lui non  tornerà a casa, pensi che potevi essere travolto insieme a lui, pensi che ci potevi  essere tu al suo posto, pensi alla sua paura, pensi a quanto durerà per lui quella tortura, pensi ai tuoi genitori e all’idea di dargli una brutta notizia sul tuo conto o peggio che siano altri a dargliela, pensi di essere stato fortunato questa volta, pensi infine che non hai potuto fare niente per aiutarlo.

Sono stati i secondi più terrificanti della mia vita perché ho avuto paura di morire travolta ma soprattutto perché non ho potuto fare niente per salvargli la vita. Nessuno poteva fare niente, e questa è la cosa che fa più male. Quello scivolo, che non era altro che un canale molto ripido di neve pressata, non permetteva di rallentare una caduta o di fermarla, la velocità acquistata dal sul corpo era troppa alta. Ha provato a conficcare la picca, ma lei è rimasta li mentre lui spariva oltre una balza rocciosa.

Abbiamo chiamato i soccorsi, ma sapevamo benissimo che non sarebbe servito a niente.

Questa è una storia come tante, gli incidenti in montagna succedo quasi ogni giorno, ma io non vorrei più che la montagna inghiottisse chi la ama, la rispetta e la vive più di ogni altro; vorrei che non si dimenticassero queste storie, vorrei che quel ragazzo vivesse in noi ogni volta che andiamo in montagna.

In questi anni di cambiamento climatico anche l’attività in montagna sta cambiando, le difficoltà non sono più nel grado tecnico ma sono nell’ambiente che ci circonda, e purtroppo non sono valutabili leggendo una relazione su “Gulliver”, ma sono valutabili solo il giorno stesso sul campo.

Di solito a casa porto sensazioni positive che mi restano addosso e mi caricano, mentre questa volta porto a casa un insegnamento forte che mi rimarrà davvero sulla pelle e mi farà da corazza per le prossime avventure. Ma soprattutto questa storia  fermerà la mia necessità di andare oltre il limite e mi darà nuovamente un po’ di entusiasmo nell’affrontare le banali attività della vita.

Non so cosa accadrà quando mi ritroverò di nuovo su un pendio così, ma sono sicura che l’asticella della mia attenzione sarà molto più alta e che imparerò a proteggermi sempre e comunque su tutti i terreni, soprattutto quelli più facili; e so che non accetterò mai quella linea di pensiero secondo la quale sul facile ci si protegge poco o si dice al compagno di togliere la sicura.

Non fidatevi mai troppo delle vostre capacità, abbiate paura sempre perché è l’unica emozione che non permetterà mai di sottovalutare le difficoltà dell’ambiente in montagna.

 

Valentina Saggese



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