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L’ultimo vallone selvaggio

di Marco Soggetto & Annamaria Gremmo

Viviamo in un’epoca in cui, come mai prima nella storia umana, è possibile ricevere e divulgare notizie da ogni angolo del globo; un’epoca in cui le informazioni parlano spesso di un nuovo danno ambientale, dell’estinzione di nuove specie, di un ulteriore arretramento nella grande battaglia - culturale, di civiltà, di sopravvivenza - per la salvaguardia di ciò che resta dell’ambiente naturale.

Un angolo di questo prezioso patrimonio vive, forse, i suoi ultimi mesi di quieta e inconsapevole serenità, scanditi dall’eterno trascorrere delle stagioni. Si tratta del Vallone delle Cime Bianche, in alta Val d’Ayas: un profondo solco ai piedi del Ghiacciaio di Ventina e della bastionata rocciosa della Rocca di Verra, dei due Tournalin. Un vallone rimasto immutato e intatto dall’alba dei tempi.

Il suo curioso toponimo non deriva dalla neve, che pur vi abbonda, bensì da tre vette molto speciali: la Gran Sometta, il Bec Carré e la Pointe Sud. Si tratta di substrati calcarei della Zona Piemontese, retaggio dell’ancestrale e perduto oceano della Tetide, di atolli e fondali corallini scagliati in quota dall’immane scontro della zolla continentale europea con quella africana.

La grandiosità di questo gioiello delle Alpi non lascia indifferenti e richiama un ancestrale, romantico ideale di libertà e appartenenza ad un “tutto” infinitamente più grande di noi, forse ormai dimenticato”, scriveva Annamaria Gremmo qualche mese fa. Le sue particolarità geologiche e naturalistiche, l’unicità biologica e la sua ricchezza storica e archeologica dovrebbero essere senza dubbio sufficienti a proclamare il Vallone “museo a cielo aperto”. E’ l’ultimo angolo non pesantemente antropizzato dell’alta Ayas, privo di strade e strutture, di impianti e centraline idroelettriche, e giustamente tutelato dalla ZPS “Ambienti Glaciali del Gruppo del Monte Rosa” (IT1204220), parte della rete europea Natura 2000.

Ricco di vita e di acqua, questo complesso ecosistema include aree umide, torbiere e laghi d’alta quota; è stato perfino annoverato tra i biotopi italiani degni di “rilevante interesse vegetazionale e meritevoli di conservazione” da parte della Società Botanica Italiana.

Ciò nonostante, proprio quassù si vorrebbe costruire un impianto di collegamento funiviario tra Frachey (Ayas) e le strutture a monte di Cervinia: l’ennesimo, altamente impattante progetto all’inseguimento del miraggio di una ripresa economica a tutti i costi, a imitazione del modello svizzero. Il tutto nell’eterna convinzione che lo sci su pista rappresenti ancora, malgrado l’ormai evidente cambiamento climatico, l’unica vera risorsa a disposizione delle comunità alpine.

Tre fotografi di montagna, uniti dalla precisa volontà di dire “No” all’ennesimo scempio, hanno voluto mettere la fotografia a disposizione di una giusta causa: per evitare che un danno ambientale irrimediabile venga fatto passare sotto silenzio.

Questa è autentica “Conservazione a Km zero”.

Giovedì 21 febbraio 2019, alle ore 21.00, avremo il piacere di presentare a Biella (grazie alla locale sezione del Club Alpino Italiano) una serata fotografica dedicata al Vallone delle Cime Bianche, alla sua bellezza, alla sua fragilità. E al grave rischio che, sfortunatamente, corre tuttora.

Testo di: Marco Soggetto e Annamaria Gremmo

Fotografie di: Marco Soggetto, Annamaria Gremmo e Francesco Sisti

www.caibiella.it


 

 


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