
La Cretes du Raisin
di Valentina Saggese
Il piccolo borgo di Nevache risuona al nostro arrivo: i tetti di lamiera e le rozze rifiniture ricordano l’estrema semplicità e la poca necessità del “tanto”che definiscono il bisogno di un alpinista. La stradine e i vicoli tra le piccole casette ospitano l’animo dei bambini felici che scorrazzano e giocano a nascondino.
Intanto Gian ed io riempiamo le borracce alla fontana che si trova all’accesso del borgo, e presto partiamo per la Val Clarèe alla ricerca di un angolo riservato dove trascorrere la notte. Non ci aspettavamo un’aria così pungente e vitale, forse abbiamo portato un sacco a pelo troppo leggero e poche coperte. Accendiamo il fornelletto per preparare una piccola cena e subito cambia l’atmosfera facendosi calorosa e accogliente. I larici sparsi intorno a noi ci proteggono dal vento e ci tengono compagnia.
Trascorriamo la notte dormendo in macchina su un letto costruito per queste occasioni oserei dire campali: un materassino gonfiabile adagiato su un piatto di legno compensato. Ma la notte si rivela meno tranquilla del previsto, non ci lascia dormire, è fredda ed è malinconica, i vetri sono completamente appannati e l’umidità comincia ad entrare nelle ossa…
Ma finalmente sono le 6 di mattina ed è ora di partire. Dopo aver bevuto un tè caldo ci incamminiamo per il sentiero che conduce all’attacco della nostra via: la Cretes du Raisin.
Finché i primi raggi di sole non lambiscono la nostra pelle camminiamo rimanendo in silenzio, in attesa che la montagna finalmente si illumini e ci riscaldi.
L’avvicinamento è piuttosto piacevole: attraversa a tratti il lariceto, che per definizione, grazie alle chiome rade e leggere, risulta luminoso e accogliente, mentre a tratti attraversa i verdi pascoli fino ad arrivare al rifugio Chardonnet, adagiato su di un bellissimo pianoro.
Da qui manca ancora un'ora al nostro attacco, ma la cresta è fin da subito visibile catturando l’attenzione di alpinisti ed escursionisti.
Dopo gli ultimi metri su di uno pendio poco coeso, cominciamo a salire la via. La prima parte non accenna ancora alle sembianze di un cresta, si sale lungo un tiro che porterà solo più tardi ad una visione più globale. Dietro di noi alcuni francesi, che con sguardo dubbioso, ci osservano per la scelta di scalare la via con gli scarponi rinunciando alla precisione delle scarpette.
Percorriamo la cresta quasi interamente in conserva protetta tranne che per i tiri di quinto, alternandoci con piacere alla direzione della cordata.
A metà della salita cominciamo ad accorgerci che è davvero infinita, quella che sembra da lontano la “cima” in realtà è soltanto un piccolo anticipo che ci scoraggia nell’immediato, ma che ci da la carica per velocizzare la salita.
In questi casi è l’insaziabile voglia di scalare che pompa benzina al motore, è la voglia di conoscere quello che si trova oltre quello spigolo, cosa riserva la via, cosa si nasconde dall’altra parte, che cosa sarà capace di fare il proprio corpo e la propria testa… la montagna incarna perfettamente il desiderio di qualsiasi uomo di conoscere cosa c’è là dietro, cosa viene dopo.
Ma a questo desiderio bisogna stare attenti perché quasi sempre ci delude, quasi sempre non corona il nostro sogno, quasi sempre è un desiderio di infinito, così come l’alpinista Giusto Gervasutti vedeva la sua passione per la montagna. Del resto è così, la curiosità e i sogni sono gli elementi che ci permettono di vivere, altrimenti che gusto avrebbe la vita?
Gervasutti dopo aver compiuto la salita della vita, la est delle Grande Jorasses, è pensieroso e malinconico, non sembra felice… è vero ha realizzato il suo sogno, ma adesso cosa potrà desiderare ancora? Quale sarà la forza che lo spingerà avanti? Dubbi che lo assalgono fino a pensare che nella vita un sogno dovrà sempre accompagnarci, fino a non realizzarsi mai, dandoci la possibilità di una vita infinita.
E così nel nostro piccolo, anche sulla Cretes du Raisin, la curiosità ci spinge forte fino alla cima, pensando proprio come Giusto che la meta raggiunta è già superata e occorre trovarne una nuova.
La cresta regala molte emozioni: si scala e si cammina sul filo che separa le due vallette, alcuni punti sono esposti e per questo da brivido, altri sono tiri più tecnici ma altrettanto entusiasmanti… insomma, ora dopo ora ci divoriamo tutta la cresta con un sorriso che non ci abbandona mai.
Ma è arrivato il momento di scendere, alla ricerca del percorso giusto di discesa che però è abbastanza intuibile. Solo più una doppia e siamo sul sentiero.
Da qui vedere la cresta appena percorsa ci lascia sbalorditi: un’infinita parete che dal pianoro svetta per mille metri di lunghezza contro il cielo…proviamo a fotografarla ma non entra nell’obiettivo. Ogni dieci passi alziamo lo sguardo per osservarla, non riusciamo a smettere.
Ecco cosa ci regala questa volta la montagna…gratitudine, soddisfazione, ma soprattutto stupore, quello stupore che ormai nella vita non ottieni più, perché è già tutto dato, è già tutto scontato e niente riesce a donarti quello che portiamo a casa oggi.
Valentina Saggese
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