
La mia vita per la montagna e la sua gente
di Sir Edmund Percival Hillary
Dopo avere ricordato con un precedente intervento l'anniversario della conquista ufficiale dell'Everest riproponiamo il testo ricavato dagli appunti della conferenza tenuta da Sir Edmund P. Hillary il 26 maggio 1999 al Museo Nazionale della Montagna del CAI Torino, preceduto dalla presentazione dell'illustre ospite fatta da Walter Bonatti.
Erano le 11.30 del 29 maggio 1953 quando Edmund Hillary e lo sherpa Tenzing Norkey avevano - primi uomini al mondo - messo piede sulla cima dell’Everest: 8.848 metri sul livello del mare. Quel giorno era stato raggiunto il tetto del mondo, il terzo polo della Terra, dopo trent’anni di vani tentativi nel corso dei quali si erano date tuttavia prove estreme di coraggio, di forza e di sacrificio.
Da quella data i nomi di Edmund Hillary e di Tenzing Norkey appartengono alla storia delle più grandi conquiste dell’uomo.
L’assalto all’Everest, fin dall’inizio, fu una sfida tutta inglese; nessun’altra spedizione, quindi, che non fosse stata del Regno Unito, avrebbe meritato di più la vittoriosa conclusione.
Ma che cos’era l’Everest ai tempi di Hillary, che erano poi anche i miei tempi?
Era sicuramente la Luna, prima che Armstrong e Aldrin vi posassero piede. E noi alpinisti, che a tanto volevamo giungere, ebbene brancolavamo empiricamente sulle pendici himalayane con le stesse limitazioni dei primi Gagarin e Shepard quando iniziarono a volare nello spazio ancora sconosciuto.
Tutto in quegli anni era dunque ancora ignoto, insidioso e ben poco si sapeva di fisiologia e di farmacoterapia applicate alle alte quote rarefatte. Grande era però il valore umano richiesto dalle scalate, dalle imprese che affrontavamo, nelle quali sempre emergeva l’affermazione dell’uomo posto di fronte all’ignoto ed ai propri limiti.
Oggi, invece, proprio in virtù della conoscenza scientifica e degli equipaggiamenti ultraprogrediti che si hanno a disposizione, risulta a mio avviso essere sempre più limitato il coinvolgimento interiore di chi affronta le grandi montagne, salvo ovviamente rare eccezioni.
Ma riandiamo agli immediati giorni che seguirono la vittoria di Hillary e Tenzing sull’Everest.
Il 2 giugno, a quattro giorni dalla conquista, fu il “Times” ad annunciarla, e proprio in coincidenza con l’ascesa al trono di Elisabetta II. Questo duplice evento emozionò il mondo intero ed il primo dei grandi riconoscimenti ufficiali conferiti ad Hillary lo raggiunse quando ancora si trovava sulla via del ritorno dall’Everest.
Nominato Cavalier dell’Ordine dell’Impero Britannico, presto gli arrivò anche la medaglia d’oro del National Geographic Society, che gli venne consegnata alla Casa Bianca dal Presidente degli Stati Uniti Eisenhower. In Nuova Zelanda, la sua patria, fu subito eroe nazionale e la sua immagine presto è apparsa riprodotta anche sulle banconote da cinque dollari.
Ma siamo ancora all’inizio della gloriosa storia di Edmund Hillary. Lo attende, infatti, la grande traversata dell’Antartide; e ancora l’Himalaya dove, oltre che scalare nuove cime vergini, prenderà sempre più coscienza dei gravi problemi che affliggono la popolazione sherpa. Decide allora di intervenire a loro favore, e anno dopo anno ricerca (e trova) i fondi per costruire nell’alto Nepal scuole, ospedali, ponti, acquedotti e persino un piccolo aeroporto.
Questo suo apporto sociale è, a mio giudizio, ciò che più distingue il già eroe Hillary. Sì, Hillary è stato come i grandi uomini sanno essere: semplice, sensibile, generoso. Verrà nominato dal suo Paese ambasciatore per l’India, il Nepal ed il Bangladesh. E quando, per limiti di età, avrà assolto anche questo delicato incarico, tornerà nella sua Auckland, da dove oggi amichevolmente ha risposto al nostro quasi pressante invito.
Il termine di mito, quasi sempre inflazionato di questi tempi, se viene riferito alla sua persona, ebbene si riappropria a buon diritto del suo pieno significato.
(Walter Bonatti)
Riproduzione dell'articolo completo pubblicato su “Scàndere 1997/1999” - Annuario della Sezione di Torino del CAI.