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La prima estate del Rifugio Boccalatte

Alla fine ci siamo riusciti. Quest’anno il Rifugio Boccalatte alle Grandes Jorasses è tornato a vivere. Un grande impresa, come l’ha definita la celebre guida alpina di Courmayeur Renzino Cosson, padrino di questa operazione, che è iniziata nel 2014. Il rifugio Gabriele Boccalatte – Mario Piolti, questo è il suo nome per esteso, sorge su uno sperone roccioso a picco tra i ghiacciai di Planpincieux e delle Grandes Jorasses a 2803 metri di quota. E’ stato costruito nel 1881 e la leggenda narra che sia stato proprio Edward Whymper, lo scalatore inglese del Cervino e delle Grandes Jorasses, a individuarne e a segnalarne il luogo di costruzione. È di proprietà della sezione di Torino del Club Alpino Italiano e ai tempi della sua costruzione era noto con il nome di Capanna delle Grandes Jorasses ed in effetti era, e lo è tuttora, l’unico punto di appoggio sul versante italiano della grande montagna. Dal Boccalatte infatti è transitata la storia delle Grandes Jorasses che in molti momenti è coincisa con la storia stessa dell’Alpinismo. Celebre è la foto scattata appena dietro al rifugio con Riccardo Cassin, Luigi Esposito ed Ugo Tizzoni che ritornano dopo aver fatto la prima ascensione della parete Nord. 

Nel 2013 avevo contattato il Cai alla ricerca di un rifugio da gestire. Venivo da 26 sei anni di cooperazione allo sviluppo nelle aree più complesse del pianeta e da una défaillance fisica che mi aveva portato a fare delle scelte radicali. Avevo appena concluso una missione in Afghanistan e stavo guidando in autostrada verso Roma per firmare un contratto con il Ministero degli Esteri per una nuova missione in Sudan. All’altezza di Firenze un forte malore mi ha costretto a fermarmi, mentre Gianpiero Testolin, un esperto di emergenze del ministero, che era al mio fianco prese in mano e risolse la situazione. Si trattava di un infarto e in meno di due ore dall’accaduto avevo due stent nuovi fiammanti già infilati nel cuore. “E no” mi dissi qualche giorno dopo. “Sono sopravvissuto a centinaia di salite slegato senza corda, sono passato indenne da 26 anni di guerre e la rischio su un’autostrada? È ora di tornare ai monti”. La risposta non si fece attendere molto. L’allora presidente del Cai Torino Osvaldo Marengo mi telefonò e mi disse: “I nostri rifugi sono tutti gestititi, ma ci sarebbe un’impresa da compiere: riaprire lo storico Rifugio Boccalatte sulle Grandes Jorasses”. Qualche giorno dopo, nella prestigiosa sede del Cai Torino in via Barbaroux, stavamo già programmando i piani operativi.

Il rifugio era chiuso da parecchi anni ormai a causa di varie coincidenze non ultima un’ordinanza del Sindaco di Courmayeur che chiudeva il sentiero d’accesso a causa delle presunta pericolosità del Seracco Whymper che pendeva da sotto la punta Walker verso la Val Ferret. Nell’inverno del 2014 un grosso distacco del seracco, che non raggiunse nemmeno lontanamente i paraggi del sentiero di accesso al rifugio, mise in sicurezza l’intera area. Nello stesso anno il comune, sentito il parere degli esperti, tolse l’ordinanza e per noi fu il segnale di inizio di un’operazione tanto complessa quanto faticosa. Il rifugio, dopo anni di chiusura, aveva perso tutte le licenze commerciali, l’agibilità, le autorizzazioni sanitarie, ma quello che più faceva male era saperlo trasformato in un deposito di immondizie da parte degli alpinisti che l’avevano stipato di ogni sorta di rifiuti.

Mentre Osvaldo Marengo e Luigi Coccolo del Cai Torino si immettevano in un iter burocratico talmente complesso che spesso poteva gettare nel più profondo sconforto ed incaricava l’ingegnere Fabrizio Bertinetti, che di rifugi se ne intende in quanto è il gestore del Rifugio Dalmazzi al Triolet, di mettere in opera la pratica per ottenere le varie autorizzazioni necessarie, io, accompagnato da un gruppo del Cai Gino Soldà di Recoaro Terme, salivamo al rifugio per ripulirlo. Nell’estate del 2014 raccogliemmo sette “big bag”, gli enormi sacconi bianchi per il carico dell’elicottero, di immondizie. Rispolverammo la struttura e mettemmo in condizioni di vivibilità il rifugio.

Appena la stagione lo permise, nel 2015, con l’impresa specializzata in lavori in esposizione di Andrea Lavy, iniziammo le opere che nel frattempo Comune e Regione avevano autorizzato. La posa delle vasche biologiche, il pozzetto della condensa grassi, la messa a norma dell’impianto elettrico, il potabilizzatore dell’acqua a raggi UV, il consolidamento del muro portante della terrazza furono lavori difficilissimi per la continua esposizione degli operai sotto la mia vigile supervisione, da vecchia guida alpina, con la sicurezza di imbraghi e corde. E poi la pavimentazione in legno della terrazza esterna e il completamento del parapetto.

Finalmente l’8 luglio 2016 fummo in grado di presentare le istanze per la regolarizzazione della struttura ed aprimmo i battenti. D’accordo con il Cai Torino e soprattutto con Roberto Ferrero, nuovo presidente, l’obiettivo era di mantenere il Rifugio Boccalatte una struttura “com’era”. Una capanna d’antan che offrisse un’accoglienza agli alpinisti diversa da quella che si propone oggi nella maggioranza dei rifugi alpini, ma tuttavia con quel minimo di comfort e di assistenza. Il camerone è attrezzato con materassi affiancati posti su tre piani ognuno con cuscino, due coperte, copri cuscini e copri materasso. La sala da pranzo è come una volta semplicemente adornata con una mappa attualizzata, una grande foto del versante meridionale delle Grandes Jorasses ed alcuni disegni rappresentanti Whymper, Cassin con Esposito e Tizzoni, ed il versante settentrionale delle Grandes Jorasses ad opera di artisti quali Giannino Scorzato e Stefano Lovison.

A causa dell’estrema difficoltà dei rifornimenti fatti esclusivamente con l’elicottero che non ha una piazzola di atterraggio, ma che deposita i sacconi sulla piccola terrazza esterna e soprattutto a causa della difficoltà di gestire una cucina lassù, abbiamo adottato un menù semplice che tuttavia desse una possibilità di scelta. Come già sapevo, ma me lo ha confermato questa prima stagione al Boccalatte, chi arriva dal basso per poi ritornare a valle ha esigenze diverse di chi sale poi la vetta o che arriva dall’alto dopo aver fatto qualche grande via. In realtà tutto rispecchia ciò che ho già vissuto negli altri rifugi che ho già gestito, ma qui, tutto ha un’atmosfera diversa. Sicuramente chi al mattino parte alle due per la vetta va letto molto presto, mentre chi vuole alzarsi alle otto rimane in sala tranquillamente senza disturbare chi dorme. Un clima che si è instaurato e che raramente è stato disatteso da pochi personaggi inopportuni. La mia cucina bene o male è sempre rimasta aperta a tutte le ore anche nei periodi cui rimanevo da solo al rifugio offrendo quotidianamente due primi e due secondi a scelta. Più di una volta mi sono trovato a mettere sul fuoco l’acqua per una pasta alle undici di sera o mezzanotte. Sicuramente chi lassù arriva a quell’ora non sono tiratardi nottambuli, ma qualcuno che scende affamato.

Un grosso impegno è stata la sistemazione del sentiero d’accesso che aveva perso completamente ogni segnaletica e soprattutto la posa dei nuovi canaponi, le corde fisse che ne facilitano l’accesso acquisite dal Cai Torino e dall’infaticabile Osvaldo Marengo, comunque rimasto alla commissione rifugi e alla vice presidenza. Con l’aiuto sostanziale di Roberto Meoli, Enrico Pozza e della guida alpina del Primiero Ruggero Daniele, abbiamo sostituito i vecchi canaponi ormai marci e collocato alcuni nuovi spezzoni nei punti più delicati. Sono stati ripassati tutti i segni e costruiti nuovi ometti. La guida di Courmayeur Dario Brocherel, responsabile per la sentieristica per la Società delle Guide, sta progettando un nuovo ponticello sul guado all’inizio della prima fascia di rocce.

Al Boccalatte è stato un susseguirsi di incontri. L’arrivo dell’alpinista britannico Simon Richardson in una serata che pioveva a dirotto con il suo compagno tedesco Michael Rinn è stata una sorpresa. Mentre la stufetta riusciva a scaldarli un po’ capii che in tre giorni avevano aperto Diamond Ridge, una via di 1600 metri (di cui 1200 nuovi) sul versante SSE della montagna. Indimenticabili i racconti e le chiamate allo storico Luca Signorelli, mentre fuori pioveva e c’era vento. Non hanno smesso di stupirmi le apparizioni di Denis Trento, l’atleta del Centro Sportivo Esercito che passava di corsa. Un saluto veloce e la conferma degli orari. Dal rifugio Torino aveva salito la cresta di Rochefort fino al bivacco Canzio per poi salire le cime delle Grandes Jorasses fino alla punta Walker per poi scendere al Boccalatte in sei ore di galoppata veloce. E poi le facce stralunate dell’altoatesino Philipp Angelo e del catalano Marc Toralles, due giovani guide alpine che sono scesi dalla Manitua, una via estrema sulla parete Nord della Punta Croz. Indimenticabile il rientro notturno delle due cordate calabresi condotte da Mimmo Ippolito che hanno salito le Grandes Jorasses. Una padella enorme di spaghetti con tanto aglio e tanto peperoncino alle undici di sera hanno reso la serata memorabile e simpaticissima. Senza dimenticare le corse notturne che facevo dal rifugio al palo nivometrico collocato sulle rocce cinquanta metri sopra per accendere un pila che segnalasse ai ritardatari la strada per il rifugio.

Al Boccalatte quest’anno sono tornati i professionisti della montagna, dopo anni che non salivano le Grandes Jorasses con clienti. Guide alpine della nuova generazione, ma soprattutto vecchi colleghi di un tempo o amici di quarant’anni fa. Sono stati saliti tutti gli itinerari principali, complice una stagione perfetta, dalla cresta des Hirondelles alla cresta di Tronchey alla classicissima traversata Rochefort Jorasses. Poi quando è entrata in condizioni la Cassin alla Nord ho visto arrivare guide con clienti anche da quell’itinerario difficile e classicissimo. Insomma una grande estate ed una grande esperienza che non vedo l’ora di ripetere nella prossima stagione. 

 

Franco Perlotto
Guida Alpina


Per gentile concessione di Montagne360, Novembre 2016


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