img
img
calendario

Ci serve una nuova cultura della montagna?

di Federica Boggio

Sono seduta al tavolino di un bar a Viola St. Gréé. Non so se tutti conoscete questo posto, nato negli anni ’70 per idea di Giacomo Augusto Fedriani che voleva emulare i recenti comprensori sciistici sorti oltralpe. 

La storia la racconta meglio di come potrei fare io Marco Albini Ferrari in Assalto alle Alpi, ma, in breve, si può dire che è uno dei tanti comprensori sciistici fondati nel corso degli anni ’70 – ’80, che, secondo il modello dei film dei Vanzina "Vacanze di Natale", trasferivano in montagna un modello di vita cittadino. Grandi hotel, pieni di persone pronte a lanciarsi sulle piste di giorno e in grandi feste la sera.

La montagna veniva ridotta a poche cose: sci, “sole, whisky (… e sei in pole position)”.
Parliamo di anni in cui il meteo regalava grandi nevicate e il tema della sensibilità per la sostenibilità ambientale era ancora lontano dai più.

Con il passare del tempo questo modello di montagna è passato in disuso, complici le stagioni con poca neve, i costi sempre più alti, un’ideazione della montagna diversa: le persone hanno iniziato a spostarsi sempre più in alto per le loro vacanze, dove era più facile trovare neve, i piccoli comprensori hanno dovuto cedere a quelli più grandi e le piccole baite (magari di lusso) hanno preso il posto dei grandi hotel.

Così, ci siamo ritrovati con delle cattedrali semi abbandonate che costellano tutto l’arco alpino.
Viola St. Gréé è una di queste.

Però possiamo dire che è una di quelle, tra queste, che ha cercato un modo di riadattarsi. Sì, perché negli ultimi anni è esplosa una nuova moda nel mondo alpino: la MTB (M di mountain anche se poi non si usa solo in montagna) si è trasformata.

Tutti conosciamo la MTB, la bici per andare sullo sterrato, che si contrappone alle bici da strada.
Ma il mondo delle MTB è immenso e comprende varie specialità.

Si parte dal più classico all mountain (cicloescursionismo), che comprende tutto. Quello in cui si fa fatica, si pedala tanto, tantissimo, su sentieri immersi nella natura, e poi si scende su sentieri a volte più, a volte meno, tecnici.

Poi c’è il cross country (XC), gare ad anello a tutta velocità su terreni con difficoltà tecniche; c’è il cross country marathon (XCM), non così diversa dalla bici da strada ma lontana dalle macchine, fatta in mezzo alla natura e complicata dalla presenza di asperità nel terreno.
Passiamo alle discipline più discesistiche: l’enduro, il freeride e il downhill.

L’enduro comprende ancora la salita, oltre che la discesa, ma la salita è più che altro finalizzata all’arrivare al punto da cui partono i sentieri per la discesa. Questa deve essere tecnica e l’adrenalina fa il divertimento.

Con il freeride si passa nel mondo unicamente discesistico. La salita non c’è: si fa più che altro in bike park con mezzi meccanizzati di risalita (seggiovie o furgoni).

La discesa è caratterizzata da salti, curve, ripidi e, in generale, predisposizioni per gesti tecnici.
Infine, abbiamo il downhill che percorre tracciati unicamente in discesa con alta difficoltà tecnica.

Di tutto questo mondo due sono che le macrocategorie che possiamo individuare: chi trova il divertimento anche nella fatica della salita, chi lo trova nell’adrenalina della discesa.

Questi due mondi spesso si incrociano, soprattutto da quando sono entrate nel mercato anche le e-bike, molte persone che prima prediligevano la discesa, ora sono pronte anche a riequilibrare le due componenti della disciplina.

Spesso, però, c’è anche attrito tra i due gruppi, i “puristi” della MTB come sinonimo di fatica criticano chi trova il divertimento altrove. È come se chi preferisce la discesa non fosse ammesso al mondo degli amanti della montagna e della natura, spesso i ciclisti vengono criticati per andare troppo forte su sentieri promiscui coi pedoni, per rovinare i sentieri che percorrono.

Ma forse così facendo si tralasciano un po’ di elementi?

Le discipline discesistiche e la possibilità di semplificare la salita hanno consentito di accedere al mondo delle attività outdoor a persone che altrimenti non sarebbero riuscite o che comunque non lo avrebbero amato.

Molte di queste persone prima magari usavano una moto, creando un impatto decisamente peggiore sull’ambiente.

Viceversa, è sempre vero che i frequentatori più classici della montagna e della natura le danno il rispetto che si merita? È così diverso cercare il divertimento nell’adrenalina della discesa invece che nelle endorfine della fatica?

Come dicevo, sto scrivendo da un tavolino a Viola St. Gréé e questi pensieri mi vengono in mente proprio perché sono qui.

E posso essere qui perché c’è un bike park. Posso essere qui perché esiste di nuovo un bar e questo posto, sebbene ancora desolato, è un po’ meno desolato di prima.

È davvero un male che posti come questo (e le alpi ne sono costellate) abbiano ritrovato una forma di vita?
È un male che la montagna abbia trovato un nuovo indotto nella moda dell’enduro?
È un male che persone che prima a Finale Ligure non si sarebbero spostate dai caruggi e dalla spiaggia, ora si spingano a esplorare l’entroterra?

Senz’altro ci sono pro e contro, io non ho la risposta a queste domande, ma si può dire che con l’affermazione delle discipline discesistiche, i comprensori hanno trovato il modo di riutilizzare gli impianti anche senza la neve (e chi ha la neve ha trovato il modo di usarli anche nel periodo estivo) e che molti posti meno noti ora stiano trovando popolarità.

Non voglio dire che questa sia la soluzione ad ogni male, anzi. Una cultura della montagna, del modo di viverla e di rispettarla è fondamentale in chiunque si approcci alla natura. Così come è fondamentale una cultura della sicurezza in montagna.

Forse dovremmo semplicemente fare un passo indietro e pensare che il punto di partenza è comune: la voglia della vita e delle avventure outdoor.

Dobbiamo solo ricordarci che non siamo in un campo giochi da sfruttare, ma in un posto meraviglioso da rispettare e condividere.

E voi, cosa ne pensate?


calendario