

Franco Ribetti, il ricordo di Ugo Manera
di Ugo Manera
E' scomparso un assoluto protagonista dell'arrampicata e dell'alpinismo degli anni '80: Franco Ribetti, storico Accademico del CAI.
Numerose le vie nuove da lui aperte e le ripetizioni effettuate. Riportiamo un simpatico scritto del compagno di tante scalate, Ugo Manera.
Franco Ribetti è nato nel 1939, fa parte di una famiglia numerosa: tre sorelle e due fratelli. Franco era il più giovane dei due fratelli e, probabilmente, il più viziato dalla mamma.
Ad Ala di Stura, nelle valli di Lanzo, trascorrevano le vacanze estive. Dai genitori e dalla zia Adriana, Franco e suo fratello Giorgio hanno ereditato la voglia di andare in montagna.
Fin da ragazzini scorrazzavano sui pendii della valle cacciandosi spesso in posti pericolosi.
Franco dice di sé: "Ero magrolino e cagionevole di salute: una "mezza sega” sempre ammalato!". Lo zio Dionisi sosteneva che bisognava fargli fare attività fisica per rinforzarlo così, tredicenne, lo portò alla scuola Gervasutti.
Non solo Franco si rinforzò ma si dimostrò eccezionalmente dotato nell’arrampicata e totalmente senza paura, tanto che spesso suo zio interveniva per frenarlo.
A 16 anni, nel 1955, divenne istruttore nella scuola. Scalava spesso con suo fratello Giorgio con il quale aveva uno stretto legame. Anche Giorgio divenne istruttore della scuola Gervasutti.
Franco è un tipo che non ama parlare troppo ma è sempre pronto alla battuta spiritosa, portato più all’azione che alle parole.
Un loro problema a quel tempo era la cronica mancanza di soldi; Franco per guadagnare qualche cosa si mise a tracciare i sentieri a cottimo, vestito di un vecchio impermeabile, con i barattoli della vernice appesi a vita, su e giù di corsa per i sentieri della Valle.
Sempre per racimolare qualche cosa si mise a catturare le vipere che poi vendeva ai centri di raccolta per la preparazione del siero antiofidico. Non disponevano di mezzi di trasporto e le salite cominciavano quasi sempre a piedi da Ala con avvicinamenti infiniti.
In quegli anni l’arrampicata sui massi era quasi sconosciuta. Era noto che i parigini scalavano sui massi nella foresta di Fontainebleau e si conoscevano altri pochi esempi qua e là.
A Torino questa pratica quasi non esisteva prima delle Courbassere: caos di massi nei pressi di Ala di Stura. Su quei massi Franco fu il principale protagonista, superò per primo dei passaggi molto difficili e rischiosi.
Come è stata sempre sua abitudine, egli minimizzava le prestazioni... in genere e soprattutto le proprie. Non gli è mai importato nulla di apparire, per cui raramente dava notizia delle cose fatte così, anche alle Courbassere: molti passaggi attribuiti ad altri erano già stati saliti da lui.
Oltre all’attività nella scuola, Franco sviluppò la sua azione con molti degli scalatori di punta dell’ambiente torinese di quel tempo. Si legò strettamente con Guido Rossa, erano ambedue scalatori eccezionali, disincantati, senza paura e sovente trasgressivi. Insieme ne hanno combinate di tutti colori in quelle che Franco definisce: “Stron**te Alpine”.
Franco era il più giovane e con poche inibizioni e paure, spesso veniva mandato avanti come apripista in scherzi ed azioni ben fuori dalle righe.
Entrò nel Club Alpino Accademico giovanissimo con un’attività del tutto eccezionale. Nel 1959 la sua attività alpinistica viene considerata tra le cinque migliori tra i giovani scalatori italiani e viene premiato a Roma. Tra le scalate di maggior rilievo alcune “prime”, la Est del Capucin e la Ratti-Vitali sulla Ovest della “Noire”.
Franco Ribetti, sempre più scatenato, viene fermato nel 1960 da un grave incidente. Succede in una uscita della scuola Gervasutti; la meta è la parete Nord dell’Uia di Mondrone. Nella notte è piovuto e la roccia è umida ma Ribetti attacca ugualmente, sale i primi 40 metri non difficili senza piazzare protezioni poi, o perché scivola sulla roccia umida, o perché viene sbilanciato dalla corda che l’allievo non gli cede con sufficiente rapidità, cade e rotola fino alla base schiantandosi su una lingua di neve che gli salva la vita.
E’ chiaro ad istruttori ed allievi presenti che è gravissimo, occorre trasportarlo a valle. Allora non esisteva il soccorso con elicotteri, bisognava trasportalo a spalla. Viene reperita una scala a pioli di legno nella grangia più vicina che, trasportata alla base della parete, diventa la barella per l’infortunato nel trasporto fino alla strada carrozzabile.
Nella caduta aveva riportato fratture ovunque oltre che gravi lesioni interne. Il professore che lo prese in cura fece miracoli ma ci vollero 2 anni per guarire completamente.
Quando fu in grado di riprendere l’attività motoria provò nuovamente a scalare ma intanto si era molto impegnato nella carriera lavorativa e stava per sposarsi; decise di chiudere con l’alpinismo.
Cessare l’amata attività non significò smettere con lo sport, anzi. Si dedicò al ciclismo: aveva uno zio ex campione ciclista e con lui percorse tutti i colli più duri e celebri delle Alpi, compresa la traversata del Colle delle Traversette passando per il Buco di Viso con le biciclette a spalle.
Continuò intensamente con lo sci alpinismo, spesso con il fratello. Praticò molto anche la corsa a piedi, attività per la quale era portato.
Passarono gli anni ed il nome di Ribetti nell’ambiente torinese era sempre vivo, soprattutto quando qualcuno ripeteva le sue vie. Ma tutti pensavano che appartenesse ormai al passato.
Verso la metà degli anni ’70 Franco Ribetti ritornò all’alpinismo. Anche questa volta promotore fu suo zio. Pino Dionisi stava organizzando una delle sue molte spedizioni nelle Ande Peruviane e convinse Franco a prendervi parte. La spedizione riaccese in lui la passione e riprese ad arrampicare.
Un incontro con Ugo Manera ed altri ai Denti di Cumiana determinò il suo ritorno alla scuola Gervasutti. La prima scalata compiuta con Manera fu l’apertura di una nuova via, nel gennaio 1982, sulla tetra parete nord dell’Albaron di Sea in valle Grande di Lanzo. Con quella ascensione ebbe origine una cordata affiatata destinata a realizzare numerose ed impegnative scalate negli anni a seguire.
Franco Ribetti risultava compagno di cordata ideale per Manera che era sempre alla ricerca di nuovi problemi da risolvere, Ribetti era costantemente disponibile ad assecondare le fantasie dell’amico.
E’ lunga la lista di prime ascensioni realizzate insieme, dalla lontanissima Cresta de Prosces nel vallone di Noaschetta, Gran Paradiso, all’Integrale della cresta di Tronchey alle Grandes Jorasses nel gruppo del Monte Bianco.
Con Franco Ribetti Manera riuscì ad affrontare progetti per i quali da anni cercava inutilmente soci di cordata disponibili. I due, pur non più giovani, nel 1983 non esitarono ad affrontare problemi molto impegnativi come una via diretta sul formidabile pilastro della Tour des Jorasses. A metà del pilastro i due furono fermati da una placca priva totalmente di fessure atte a ricevere ancoraggi di protezione. Per scelta non praticavano fori nella roccia per cui furono costretti a rinunciare.
Cinque anni dopo la placca venne superata dallo svizzero Michel Piola ricorrendo all’impiego degli spit. Il celebre alpinista elvetico tracciò la bellissima e molto difficile Etoilles Filantes.
Ribetti non è mai stato ciarliero ma anche a lui a volte piaceva raccontare, nel suo modo disincantato, avvolto sempre da un velo di umorismo. Così da lui abbiamo appreso delle sue “Stron**te Alpine”, compiute spesso con Guido Rossa, come le vicende della “Villa Pisolino” al campeggio UGET di Val Veni, ricche di scherzi anche piuttosto spinti, atti a prendere in giro ed a far “girare le palle” al prossimo.
Negli anni ’80 Franco Ribetti partecipò a spedizioni extraeuropee due delle quali nell’Hindukush pakistano. Nella prima, 1984 venne realizzata l’impegnativa cavalcata delle cime vergini della catena dei Bindu Gul Zom: in cinque giorni di scalata, con quattro bivacchi in parete. Oltre a Ribetti a compiere la traversata vi erano Lino Castiglia di Alba, Manera e Claudio Sant’Unione.
Nel 1986 gli stessi con Mario Pelizzaro di Vercelli ed il giovane medico Alessandro Naccamuli, avevano un grande obiettivo sul Tirich Est, ma la spedizione si concluse tragicamente prima di raggiungere le montagne causa un incidente con il fuoristrada sulla pista che portava verso il fondo della valle.
Nell’incidente perse la vita il giovane Naccamuli, 26 anni, neo istruttore della scuola Gervasutti.
Anche Ribetti, con Manera ed altri amici non più giovanissimi, si convertì all’arrampicata sportiva quando questa si affermò radicalmente: innumerevoli le scalate “moderne” compiute nel Briaçonnais ed in tanti alti massicci.
Nel 2010 Ribetti cominciò ad avvertire problemi fisici che prima lo costrinsero a lasciare l’attività che aveva caratterizzato la sua vita e che poi lo portarono, nel corso degli anni, all’invalidità.
Nel Vallone di Sea, un paio di anni fu, restaurata dal Gruppo Valli di Lanzo in Verticale la stupenda via dell'Addio, aperta con Manera, Meneghin e Ribotto.
Non c'è modo migliore per rivivere un pezzo di storia dell'alpinismo che se ne va.
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