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Primo Levi al Museo della Montagna

di Marina Angione

La mostra “Le ossa della terra, Primo Levi e la montagna”, ideata e prodotta dal Museo Nazionale della Montagna di Torino, accompagna il visitatore in un percorso alla scoperta dell’uomo e dello scrittore attraverso la sua passione per la montagna, elemento che fa da filo conduttore tra momenti della sua vita personale e i fatti storici a cui è tristemente legato.  

Primo Levi (Torino, 31 luglio 1919 – Torino, 11 aprile 1987) inizia ad andare in montagna all’età di 13 o 14 anni. Nella sua famiglia c’era il mito della “montagna che fortifica”, si andava in montagna per abituarsi alla fatica e per godere del contatto con la natura più che per fare grandi scalate. Le valli intorno a Torino. Sangone, Susa, Lanzo, Orco, Soana, erano tra le sue mete preferite per le escursioni e saranno i luoghi dove Levi stringerà le prime forti amicizie. 

“Le montagne attorno a Torino, visibili nei giorni chiari, e a portata di bicicletta, erano nostre. Non sostituibili, e ci avevano insegnato fa fatica, la sopportazione e una certa leggerezza”. Potassio, Il sistema Periodico, 1975.

 

Primo Levi al Colle del Sommeiller (Bardonecchia), 1935. Foto Archivio Levi.

 

Le escursioni in montagna erano uno svago piuttosto diffuso tra i suoi coetanei e per Levi quelle esperienze assumono diversi significati, in primis l’esplorazione e l’osservazione della natura e della materia. Le forme, il ghiaccio, le rocce - le ossa della terra - come lui stesso le definisce, lo affascinano e lo incuriosiscono, tanto che numerosi sono i passi che Levi dedica alla natura all’interno della sua opera.

Le prime arrampicate arrivano verso i 18, 19 anni e lo accompagneranno nei weekend nel periodo degli studi in Chimica, quando era solito cimentarsi su qualche salita nel Gran Paradico o tra rocce dei Picchi del Pagliaio, dei Denti di Cumiana, di Rocca Patanüa, del Plu e della Sbarua nelle mezze stagioni.  
Lo spirito di avventura e le ispirazioni letterarie sono le ragioni che lo spingono ad andare sempre più in alto. Dalle letture dei classici dell’alpinismo Levi alimenta la sua voglia di viaggio e scoperta che sfoga nelle sue spedizioni casalinghe, come la cresta est dell’Herbetet.

“Mi trasferii a Milano con le poche cose che ritenevo indispensabili: la bicicletta, Rabelais, le Macaroneae, Moby Dick tradotto da Pavese ed altri pochi libri, la piccozza, la corda da roccia, il regolo logaritmico e un flauto dolce”. Fosforo, Il sistema periodico, 1975

 

Mostra Le Ossa della Terra – Museo Nazionale della Montagna di Torino

 

È il 1938 e con l’approvazione delle leggi razziali in Italia essere ebreo diventa definitivamente sinonimo di inferiorità. Ecco che la montagna inizia ad essere sempre di più spazio di libertà e rivalsa contro chi sostiene che ci siano persone di serie A e di serie B. In un’intervista scritta nel 1966 e pubblicata su Rivista della Montagna n. 61 nel marzo 1984, Levi spiega che andare in montagna «Era una forma assurda di ribellione. Tu, fascista, mi discrimini, mi isoli, dici che sono uno che vale di meno, inferiore, unterer: ebbene, io ti dimostro che non è così”.

In questi anni Levi è impiegato alla fabbrica Wander di Crescenzago e nonostante un crescente clima di tensione quegli anni rappresentano per lui un periodo di fervore creativo, di serate culturali e di dibatti. Sono anni in cui si consolidano amicizie destinate a durare nel tempo, amicizie con cui condivide giornate in montagna, vita in comune e confidenze. 

“Eravamo fanatici della montagna, tutti quanti e tutte quante”. Io che vi parlo. Conversazioni con Giovanni Tesio, 1987. 

 

Primo Levi nell'agosto del 1942, in cima al Monte Disgrazia in Valtellina

 

Nel 1943 andare in montagna diventa sinonimo di aderire alla lotta partigiana. Primo Levi e molti dei suoi amici più stretti compiono questa scelta, qualcuno pagandola a carissimo prezzo. Nel dicembre di questo stesso anno avviene il suo arresto proprio in montagna. Dopo l’arresto passa un periodo di detenzione nella caserma di Aosta, poi il campo di Fossoli e poi la deportazione ad Auschwitz. 

 

La cordata Levi-Delmastro nel febbraio 1940 all’Uja di Mondrone. Foto Archivio Levi.

 

Dopo l’esperienza nel lager Levi tornerà ad andare in montagna, e ne parlerà con gratitudine, per avergli insegnato a resistere alla fame e al freddo. Le terre alte torneranno ad essere presenti nelle sue opere come simbolo di bellezza, di libertà e di fiducia verso i compagni. 

 

Primo Levi nel 1960 alla Capanna Regina Margherita (4553m) Monte Rosa, Gressoney

 

Natura, materia, letteratura, trasgressione, riscatto, amicizia, scelta, liberazione. Queste le otto parole chiave attorno a cui si articola la mostra e che rappresentano l’essenza dell’amore di primo levi per la montagna. 

La mostra riporta fotografie storiche, oggetti, documenti, manoscritti ed estratti video provenienti da archivi pubblici e privati ma anche dalla famiglia dello scrittore, dal Centro Internazionale di Studi Primo Levi e dal museo stesso. 

 

Mostra Le Ossa della Terra – Museo Nazionale della Montagna di Torino

 

Per la prima volta è stato esposto al pubblico anche un paio di sci di Primo Levi che lui lasciò in Valle d’Aosta prima del suo arresto e che furono usati da un altro partigiano, Francisco, che li utilizzò per salvarsi la vita scappando in Svizzera.

 

Mostra Le Ossa della Terra – Museo Nazionale della Montagna di Torino

 

Percorrendo i documenti e le immagini esposte, Levi riesce ad emergere in tutta la sua complessità, non solo come testimone della Shoa, ma come uomo pieno di interessi e curiosità, oltre che intellettuale, scrittore, chimico, alpinista e amante della natura. 

 

 

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