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“The Mountain Touch”, tra arte e scienza

di Jessica Pedone

Il 4 novembre verrà inaugurata la mostra “The Mountain Touch” presso il Museo Nazionale della Montagna di Torino.
L’esposizione è una fusione tra arte e scienza, che presenta le opere di 14 artisti italiani e internazionali, mediante un percorso narrativo immersivo in cui il pensiero della “montagna che cura” si coniuga con quello della “cura della montagna”. Con l’occasione, abbiamo avuto il piacere di intervistare Andrea Lerda, il curatore della mostra.

Come è nata l’idea di questa mostra e qual è il suo scopo?
L’idea della mostra nasce da una suggestione personale percepita durante il periodo pandemico e dalla
concomitante lettura del testo Losing Eden, della scrittrice Lucy Jones.
Gli allentamenti delle restrizioni che avevano costretto milioni di persone al confinamento nelle proprie
abitazioni offrivano immagini inedite che mi hanno colpito profondamente. Tutto d’un tratto le persone
affollavano montagne, parchi, litorali marini e ogni luogo dove quel respiro, fisico e mentale, strozzato dallo
stress pandemico e dalla reclusione urbana, potesse tornare a essere libero, pieno, vitale. Le parole della
filosofa Ruyu Hung, che avevano guidato la costruzione della mostra Ecophilia. Esplorare l’alterità,
sviluppare empatia, e che avevo curato precedentemente nell’ambito del Programma Sostenibilità del
Museo della Montagna, si materializzavano inaspettatamente.

A spingere tutta quella gente verso i luoghi naturali non era dunque solo il bisogno fisico di evadere da spazi chiusi, bensì il richiamo innato e primordiale a stare nella natura.
Ecco rappresentati i concetti di ecofilia e biofilia. Ecco l’essere umano contemporaneo, tecnocapitalista,
digitale, ma totalmente disconnesso dal mondo naturale, che assecondava un richiamo, in parte razionale e
in parte biologico, a stare a diretto contatto con la materia naturale.
A partire da questo tipo di riflessione ho deciso di esplorare un tema che, per quanto non nuovo, è in questo momento storico oggetto di grande attenzione e fermento da parte del mondo della scienza. Oggi sono numerosi gli studi (in modo particolare in America e in Giappone) i cui dati, raccolti attraverso esperimenti rigorosi su larga scala, legano l’esposizione alla natura alla minore incidenza di allergie, di disturbi autoimmuni e di alti livelli di stress, a un miglioramento delle funzioni cardiovascolari, degli indici
emodinamici, neuroendocrini, metabolici e ossidativi, nonché dei processi mentali e del benessere psichico.

Nonostante i primi studi relativi all’impatto benefico della natura sull’essere umano siano stati condotti già nel 1984 da parte di Roger, e nonostante nel corso dei decenni a seguire siano stati fatti molti passi avanti,
soprattutto da parte del mondo scientifico giapponese, con ricerche in merito al Forest bathing - l’analisi di come e in quale misura il mondo naturale impatta beneficamente sul nostro piano biologico e su quello
psicologico - rimane un terreno di studio estremamente aperto.
La mostra, senza la pretesa di offrire una lettura esaustiva del tema, prova a offrire una panoramica dei
principali temi di ricerca in materia e apre a una serie di interrogativi. Quale impatto potrà avere la
devastazione ambientale in corso sulla nostra salute? Come ricorrere all’ecoterapia per far fronte
all’ecoalienazione? Che ruolo rivestono esperienze come la montagnaterapia, la terapia forestale, l’ormai
noto Shinrin-Yoku o “bagno di foresta”, la progettazione biofilica e quella di parchi urbani per arginare la
sindrome da “deficit di natura” o le malattie mentali psicoterratiche? Perché l’associazione tra questo tema e la montagna? Perché in Italia, secondo i dati Istat, il territorio è per il 35% montano e per il 41,6% collinare.

I territori montani e le aree metromontane rivestono inevitabilmente un ruolo cruciale in questo tipo di contesto. Comprendere quanti e quali sono gli agenti responsabili di questa relazione benefica può dunque rappresentare un’opportunità per vivere la relazione con la montagna nella sua possibilità di essere un luogo terapeutico e per sviluppare una maggiore coscienza ecologica.
Se, grazie alla scienza, riusciremo ad esplorare in maniera sempre più chiara questo tipo di relazione, forse
saremo in grado di comprendere che dalla nostra cura verso gli ecosistemi naturali, montagna in primis,
dipende la nostra salute fisica e mentale futura.

Negli ultimi anni, a causa dell’emergenza climatica, abbiamo imparato a prenderci più cura
dell’ambiente e in generale del nostro pianeta. Crede che l’arte in tutte le sue forme sia al passo con i tempi e si stia impegnando socialmente per sensibilizzare le persone su questo tema?

Diciamo che stiamo acquisendo maggiore consapevolezza sulle nostre responsabilità. Credo non sia ancora
stato adottato un reale atteggiamento di cura. Come dimostrano i recenti avvenimenti globali, fino a quando giustizia sociale ed economica non saranno fari che guidano le politiche e le scelte finanziare del mondo intero, non sarà possibile adottare pratiche sistemiche adatte a un cambio di rotta reale ed efficace. 
Il sentimento di cura che stiamo percependo è probabilmente legato al senso di colpa e a quello della perdita.
A questo proposito, Glenn Albrecht ha coniato la parola solastalgia per descrive quell’emozione cronica,
situata e dolosa – un misto di conforto, nostalgia e distruzione – che l’essere umano prova nell’osservare
impotente la perdita di un luogo naturale a causa della devastazione ambientale in corso. Stiamo
osservando giorno dopo giorno l’acutizzarsi delle manifestazioni legate alla crisi climatica. Ghiacciai che
collassano, alluvioni che cancellano intere vallate montane, siccità e carenza idrica, solo per citare le più
note. In relazione a questi fenomeni siamo tutti più o meno sensibili e toccati sul piano emotivo. Un po’
spaventati, un po’ preoccupati, un po’ infastiditi da tutte le pressioni mediatiche legate alle parole climate
change, global warming, crisi ecologica. Anche in questo è dimostrabile quanto il nostro stato di benessere
sia direttamente legato allo stato di salute del mondo che coabitiamo.

Nel corso degli ultimi anni l’arte ha contribuito in maniera importante ad alimentare riflessioni costruttive in questo senso, proponendo visioni ecocentriche, indagando le ragioni che hanno prodotto l’emergenza
attuale ed esplorando in maniera transdisciplinare scenari e soluzioni creative per un futuro sostenibile. Per
la sua capacità visionaria, l’arte è spesso un passo avanti rispetto alla realtà. Molti sono gli artisti che a
livello internazionale conducono ricerche su temi ambientali in maniera così competente, puntuale, e direi
quasi scientifica, che la relazione tra arte e scienza si è naturalmente consolidata nel corso del tempo.
L’arte, gli artisti e le istituzioni culturali si stanno facendo carico di questo passaggio storico, consapevoli del
loro ruolo fondamentale nel processo di transizione culturale da un pensiero antropocentrico verso uno
biocentrico. Il Museo della Montagna è fortemente impegnato su questo fronte dal 2018, con un Programma Sostenibilità che affronta in maniera speculativa i grandi temi che interessano la montagna di oggi e del futuro, nella consapevolezza che parlare di montagna non è può essere qualcosa di disgiunto dall’indagare gli altri ecosistemi naturali e dal trattare temi di natura antropologica, sociologica ed evolutiva.

Lucas Foglia
Rachel Mud Bathing, Virginia, 2009 (Dalla serie Human Nature)
Fotografia
Courtesy l’artista e Micamera, Milano


“The Mountain Touch” coniuga arte e scienza. Come è cambiato negli anni il rapporto tra di esse e
come si esprime all’interno di questa mostra?

Come accaduto in occasione delle mostre Post Water (2018) e Tree Time (2019), anche in questa occasione
la mostra nasce in stretta relazione con il mondo della scienza.
The Mountain Touch presenta le opere di 13 artisti italiani e internazionali, in dialogo con una narrazione
scientifica a cura di Federica Zabini e Francesco Meneguzzo, ricercatori presso l’Istituto per la BioEconomia
del Consiglio Nazionale per le Ricerche, che da anni sta conducendo la più ampia campagna sperimentale
mai effettuata sugli effetti della terapia forestale e delle immersioni negli ambienti verdi insieme al Club
Alpino Italiano e al Centro di Riferimento per la Fitoterapia della AOU Careggi a Firenze.
Ogni opera, oltre a un racconto di natura artistica, sarà l’occasione per approfondire una serie di temi di
natura scientifica attraverso un linguaggio divulgativo ma puntuale. Questo permetterà al pubblico di leggere la mostra attraverso due differenti linguaggi, switchando a piacere dall’arte alla ricerca scientifica.

Questo tipo di scelta permette di abbracciare più tipologie di pubblico, di esplorare un tema così delicato in
maniera più analitica e grazie all’apporto di figure competenti.
Il progetto, nato dal dialogo con tutti i soggetti coinvolti, si arricchisce di una serie di testi di taglio 
scientifico divulgativo di    Qing Li , immunologo e presidente della Società giapponese di medicina forestale, 
Università degli Studi di Tokyo; Marina Boido  e Alessandro Vercelli, Neuroscience Insitute Cavalieri Ottolenghi dell’Università degli Studi di Torino; Francesca Cirulli e Marta Borgi, Center for Behavioral  Sciences and Mental Health. Istituto Superiore di Sanità; Lucy Jones, scrittrice, giornalista e autrice del libro “Losing Eden ” ; Rita Berto e Giuseppe Barbiero, Groupe de Recherche en Education à l’Environnement et à la Nature, Laboratorio di Ecologia Affettiva, Università della Valle d’Aosta;  Marco Battain , Presidente del CAI Torino e referente del gruppo “La montagna che aiuta”; Francesco Riccardo Becheri, Psicologo Psicoterapueta, Fondatore e Responsabile Scientifico Stazione di Terapia Forestale Pian dei Termini, Psicologo Referente CAI Commissione Centrale Medica / Comitato Scientifico Centrale; Giulia Villari, Ricercatrice del Dipartimento di Oncologia dell’Università di Torino.

Questo coinvolgimento del mondo della scienza è da un lato un’esigenza curatoriale - credo che
nell’affrontare questi temi sia indispensabile lasciare la parola anche a chi studia temi così specifici -
dall’altro la dimostrazione della forte apertura di questo ambito alla sperimentazione artistica e alla
divulgazione culturale di contenuti ambientali.
Un rapporto che, come ho già detto prima, si è evoluto e rafforzato nel corso del tempo fino ad oggi, dove
realtà di alto profilo scientifico come CERN di Ginevra, promuovono questa dimensione di interdisciplinarietà e lo sviluppo di progetti di ricerca fondati sul binomio arte e scienza.
Un’altra realtà interessante in questo senso è la Science Gallery Dublin, un’istituzione che propone un
programma all’avanguardia nel quale arte e scienza si incontrano.

Per esperienza personale, ho visto molte persone vivere un rapporto “unidirezionale” con
l’ambiente circostante (stare a contatto con la natura mi fa sentire bene ma a mia volta non sento la responsabilità di prendermi cura di lei). Secondo lei, su cosa c’è ancora molto da lavorare e cosa può fare l’arte a riguardo?

Vincere la barriera di indifferenza al problema è una sfida culturale epocale. Non è certo riusciremo a
vincerla. La società contemporanea esaspera l’individualismo.
Credo dunque che sia necessario lavorare sul senso di partecipazione e contaminazione. Adottare nuovi
modi per dialogare con la comunità, coinvolgere i diversi pubblici nel processo di costruzione dei contenuti
artistici e nella loro condivisione e impiegare in maniera creativa lo spazio pubblico. Queste azioni penso
possano rappresentare contributi utili al processo di sensibilizzazione della comunità verso i grandi temi
della contemporaneità, quello ambientale incluso.
Si tratta di modalità di produzione culturale che le istituzioni artistiche hanno da tempo adottato ma che
vanno ulteriormente ampliate e rafforzate. L’arte e la creatività contemporanea possono rappresentare uno strumento molto potente nel prossimo futuro, purché non rinuncino alla loro verve provocatoria.

Nona Inescu
Concretion (Geophilia) VIII, 2017
Stampa Ultrachrone su carta sintetica Epson Enhanced, montata su VisualBond 
Courtesy SpazioA, Pistoia


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