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Monte Bianco, i confini contesi

di Stefano Delfino

Ha destato non poco scalpore la notizia, rilanciata da quasi tutti i grandi media nazionali, televisivi e cartacei, della cosiddetta “annessione” da parte della Francia della vetta del Monte Bianco e aree limitrofe a seguito di una sorta di revisione unilaterale e arbitraria dei confini generata, di fatto, dall’ordinanza del 27 giugno 2019  dei Comuni francesi di Chamonix e Saint-Gervais, che hanno incluso in un divieto di sorvolo in parapendio anche parte del territorio italiano, seguita da un'interrogazione parlamentare cui il Governo ha risposto solo pochi giorni fa.

In realtà la questione non è nuova e si ripropone periodicamente da decenni, come più volte dibattuto anche sulla nostra stampa sociale, sia sezionale, che nazionale.

Per fare un po' di chiarezza riproponiamo un esaustivo articolo di Stefano Delfino pubblicato su “Monti e Valli” dell'autunno 2015: Monte Bianco, i confini contesi.

Questa è una storia antica, una storia che sembra appartenere a un mondo passato, quando gli eserciti nazionali si fronteggiavano al di qua e al di là delle Alpi, e le alte montagne costituivano il primo baluardo verso lo straniero. Eppure è una storia di oggi, infilata in un presente dove le frontiere si vorrebbero cancellate per sempre grazie all’Unione Europea.

Succede che a giugno venga inaugurata la nuova funivia italiana, che da Courmayeur trasporta a Punta Helbronner turisti e alpinisti. Siamo vicini al rifugio Torino, di proprietà della nostra sezione. C’è il primo ministro Matteo Renzi, non c’è nessuna autorità francese.

Spostiamo ora l’attenzione sullo stesso scenario, ma qualche settimana dopo: verso fine estate il Sindaco di Chamonix, invia due guide alpine a bloccare il cancello che conduce dalla stazione della funivia presso il rifugio Torino al ghiacciaio del Gigante. Il motivo addotto dal primo cittadino della località francese è quello di evitare incidenti su un territorio di sua competenza amministrativa.
Ma quella fetta di montagna è davvero sotto la sua giurisdizione? O non è forse suolo italiano, amministrato dal Comune di Courmayeur?



Il fatto è che, da quando l’Italia esiste, quel tratto di confine nord-occidentale è stato sempre oggetto di contese con i vicini di casa, i quali non hanno mai accettato di far coincidere la frontiera con la linea spartiacque, appellandosi invece ai trattati di fine ‘700, che individuavano quale limite territoriale la linea che unisce le vette più avanzate verso la Penisola.

In estrema sintesi, i passaggi storici sono stati i seguenti: sino a fine Settecento l’area del Monte Bianco costituiva solo un limite territoriale amministrativo, interno al Regno di Sardegna, che all’epoca inglobava la Savoia; nel 1796, dopo la sconfitta di Vittorio Amedeo III ad opera di Napoleone, il trattato di Cherasco stabilisce che il confine tra Piemonte e Francia debba passare “per i punti più avanzati sul versante piemontese”, e il Monte Bianco diventa francese.

Dopo la Restaurazione del 1814-1815, quella frontiera torna ad essere un limite interno fino ai trattati del 1862, in cui si perfeziona la cessione della Savoia alla Francia e, nella carta allegata ai trattati stessi, controfirmata da italiani e transalpini, si traccia il confine esattamente sulla cima del Monte Bianco, secondo il concetto della linea spartiacque.



Tuttavia nel 1865 la Francia disconosce unilateralmente gli accordi di tre anni prima, e una matita malandrina dello Stato Maggiore francese fa scivolare i confini sul lato valdostano in corrispondenza di Monte Bianco, Dôme du Goûter e Punta Helbronner. Quest’ultima è la versione confinaria generalmente accettata dalla cartografia internazionale e riconfermata fino a oggi anche dalle mappe digitali di maggiore uso sul web.

Infine, con il trattato del 1947, a conclusione della Seconda Guerra Mondiale, i confini si spostano generalmente in avanti a vantaggio della Francia, ma dell’area del Bianco non si fa alcuna menzione.
Alla fine di questo breve excursus, appare chiaro che per ristabilire la verità storica basterebbe appellarsi alla carta del trattato 1862, se non che l’unico esemplare è conservato nell’Archivio di Stato di Torino, mentre la copia francese non esiste più, è andata perduta durante l’occupazione nazista.

E’ un fatto, del resto, che la stessa Italia non avanzi alcuna formale protesta fino agli anni ’90, quando un’interrogazione al Ministero degli Esteri e un’altra alla Commissione Europea risvegliano la questione, che oggi torna alla ribalta, come un fuoco mai sopito che cova sotto le braci e ogni tanto lancia uno sbuffo.

Se tale è il dibattito e così lontane sono le sue radici, significa che non si tratta di una disputa anacronistica, di puntiglio: è invece un problema che, al di là dell’aspetto di prestigio della supremazia sulla maggiore vetta europea, include numerosi risvolti pratici legati alla gestione del territorio.

Chi deve beneficiare delle attività umane legate al turismo e all’alpinismo? Chi è chiamato a responsabilità penale e civile in caso di incidenti o eventi nefasti in quell’area? Chi deve fronteggiare i cambiamenti climatici e morfologici che si stanno verificando in quei luoghi?

Le prime risposte sono affidate all’Istituto Geografico Militare, che sta ricontrollando i confini. La risposta definitiva spetterà invece alla politica e alla diplomazia.

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Redazione