

Grand Hotel Piantonetto: una nuova, lunga ed avventurosa, via WILD
di Filippo Ghilardini
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Quante volte, percorrendo le valli del Gran Paradiso, ho rischiato il frontale tentando di scorgere spicchi di roccia dove aprire una via nuova, magari lunga, continua, impegnativa ed ovviamente bellissima! Moltissime.
Purtroppo, come molti sottolineano, i grandi apritori che imperversarono dai ruggenti anni del Nuovo Mattino in poi ci hanno lasciato ben poco. Apparentemente ogni sasso sembra saturo di itinerari, e per i più giovani non rimane che andare ad impelagarsi in punta alle montagne, con avvicinamenti dalle 3 ore in su, o intestardirsi nell’aprire l’ennesima via a spit a distanze poco onorevoli dalle altre già presenti sulle pareti più famose.
La verità è che non è così. Il primo esempio me lo diede Andrea Giorda, mostrandomi come le pareti ci sono eccome, basta guardare con un occhio un po’ diverso, non dove guardano tutti ma un po’ a fianco! O nel nostro caso, dall’altra parte della valle.
Lampante il successo della sua via a Punta Phuc, Monte Castello di Noaschetta, alla cui apertura ho avuto il piacere di partecipare. Probabilmente sarà lo stesso con la sua recentissima via sulle placche della cascata di Noasca, chi non le ha mai guardate la sera, bevendosi una birra, prima di tornare a casa?
Restava da trovare la “mia” parete, la mia via. E qui entra in gioco il personaggio chiave: Sandro Zuccon.
Sandro, accademico del CAAI di lunga data, è credo il più vicino possibile al mio ideale di esploratore, un vero avventuriero d’antan. E’ un grande alpinista, ha aperto vie mitiche, basti pensare a Filo a Piombo e Sturm und Drang al Becco di Valsoera; insieme ad Andrea Giorda negli anni ’80 formava una cordata insuperabile e rivoluzionaria. Avevano una visione diversa dagli altri, vedevano linee invisibili a tutti e la loro complementarietà di stili gli permise di scrivere pagine di storia.
Oltre a queste vie molto famose, compirono altri exploit, che per un motivo o per l’altro rimangono sconosciuti ai più. Un esempio su tutti: se vi capita di incrociare vecchi cordoni ammuffiti e chiodi ormai inglobati dalla parete, mentre scalate le belle vie di Manlio Motto all’Ancesieu, beh, sono stati i nostri due, che senza un friend arrivarono sino al pino secco di Panorama, intersecando anche quella che è poi diventata www.ancesieu.free, era il 1986. Altri esempi sono le prime salite di Zux alla Schiappa delle Grise Neire e alla Parete del Cunì, sempre nel vallone di Forzo, le vie sui selvaggi torrioni attorno all’Ancesieu, dimenticate. Poi le esplorazioni senza sosta nel vallone di Noaschetta, l’esperienza al Changabang nella gloriosa spedizione organizzata da Ugo Manera nell’81, o le loro ripetizioni ed aperture sul Massiccio del Bianco.
La mia fortuna è quella di essere, come loro, istruttore della Scuola Nazionale di Alpinismo Gervasutti. Durante un’uscita allo scoglio di Mroz, e nel momento esatto in cui dissi a Sandro -mi piacerebbe proprio tornare a toccare un pezzo di roccia vergine-, con la sua semplicità mi disse: beh ma io conosco un posto dove ce n’è quanta ne vuoi, girati e lo vedrai! Devo solo trovare il modo di arrivarci, sono 40 anni che ci penso! Rimasi sbigottito nel vedere tanta roccia, dove tante volte avevo già guardato.
La nostra parete, che abbiamo chiamato “California Dreamin’” per via delle sue fessure, sicuramente tra le più lunghe dell’intero Gran Paradiso, è un contrafforte della Punta di Fioni. Si tratta di una cima secondaria posta sullo spartiacque tra la Valsoera ed il vallone di Piantonetto; la premessa della sua esplorazione è ben raccontata da Sandro stesso in questo articolo.
Fatto sta che qualche giorno dopo la sua missione, lo Zuccon venne da me e mi disse: ho trovato l’accesso! Quando andiamo?
Non posso negare che fu davvero un gran tombino arrivare a depositare gli zaini in terra, ma ne è valsa sicuramente la pena. La roccia è meravigliosa, un granito compattissimo, molto simile a quello dello scoglio di Mroz, caratterizzato da bugne a volte enormi, delle vere e proprie ghiande. Ci sono anche moltissime, lunghe fessure, purtroppo spesso invase dall’erba, e questo ci è costato giornate di lavoro di pulizia, nonostante la via sia stata salita in realtà in due sole giornate.
La nostra idea, vista la natura selvaggia della parete e del suo contesto, completamente privo di antropizzazione, è stata sin da subito quella di non forare la roccia. Ma la vita è fatta di compromessi, e sin dalla prima esplorazione ci siamo resi conto che alcune fessure richiedevano di essere pulite da erba e terra, e che avremmo dovuto installare delle soste sicure per poter lavorare. Per non parlare della lunghezza della parete e della difficoltà di una ritirata. Abbiamo quindi deciso di attrezzare le soste di calata a spit-fix, e successivamente, vista la lunghezza dei tiri e che solo un paio di fermate non sarebbero state utilizzate in discesa, di attrezzare anche quelle mancanti per uniformità.
Mi è capitato, nelle calde notti estive, di sognare un certo passaggio, che avevamo binocolato, e di arrovellarmi sul fatto se sarebbe stato necessario o meno mettere uno spit di progressione in quel punto. O di provare ad immagine come sarebbe potuto essere, dopo la rimozione della vegetazione, un passaggio che in apertura fu risolto trazionando, piedi nel vuoto, delle teppe della miglior specie di erba olina orchiana. Per fortuna ci siamo riusciti, 430 metri senza protezioni fisse, basterà ai ripetitori un po’ di decisione e qualche buon micro friend.
Ne è nata una via con delle notevoli caratteristiche di unicità, basti pensare alla sua lunghezza, sono più di 400 metri sostanzialmente senza trasferimenti, non ce ne sono molte dalle nostre parti ad un’ora dalla macchina.
Poi la natura selvaggia del luogo, a partire dall’avvicinamento. Una vera e propria esperienza TRAD e WILD anch’esso! Abbiamo cercato di descriverlo accuratamente con foto e parole in modo da agevolare i ripetitori, è piuttosto ripido e non va sottovalutato, ma tutto sommato non è molto più lungo di quello dello scoglio di Mroz, si attacca all’incirca alla stessa quota (circa 1700 metri).
In ultimo sono felice di ribadire che neanche uno spit di progressione è stato piazzato, per nessun motivo. La tendenza degli ultimi anni, lo si vede in altri valloni non molto distanti, è di bucare appena la proteggibilità risulta un po’ minore, o il passaggio un po’ più difficile del normale; trovo che questa sia una visione poco sostenibile ne lungimirante e soprattutto che non lascia nessun margine al “Wild”, al selvaggio, all’avventura. Una omologazione dell’arrampicata a cui non voglio partecipare.
Come mi disse Sandro, con queste infrastrutture, come le chiama lui, con lo spittino segna-via, con l’assurdo assioma chiodo=spit di alcune richiodature, si elimina la possibilità di sbagliare, muore l’avventura.
Certo sulla nostra via è necessario sapersi proteggere, in particolare nei primi tiri, ma era fondamentale per noi dare una dimostrazione che una via del genere si potesse aprire senza violare la roccia.
L’esposizione è Sud-Ovest, in particolare i primi 3 tiri sono rivolti ad Ovest e quindi ombrosi la mattina, si può scalare tutto l’anno, neve permettendo, evitando le giornate estive più calde ed i giorni successivi alle piogge più intense.
Grande attenzione va posta durante l’avvicinamento e soprattutto la discesa, che in presenza di temporali potrebbe creare problemi, vista la presenza di erba ripida, verificare il meteo e cercare di attaccare con tempo stabile.
Le difficoltà non sono elevatissime, una buona cordata con esperienza su terreno d’avventura se la può cavare senza problemi, ma alcuni passaggi non vanno sottovalutati e regaleranno una bella giornata fuori dal comune, una giornata assolutamente WILD!
La prima ripetizione 12 Luglio 2020 - Ringraziamenti
Il 12 Luglio 2020, insieme ad un manipolo di istruttori della Scuola Nazionale di Alpinismo Gervasutti, abbiamo portato a termine la prima ripetizione collettiva della via. E’ stata una bellissima giornata tra amici, dove la generazione degli esploratori della valle ha potuto riassaporare e condividere con noi più giovani i giorni grandi in cui aprivano i vioni di Noaschetta e dell’Orco che tutti conosciamo, vorrei quindi ringraziare:
Martina Mastria, la mia compagna, che ci ha assecondati per ben tre volte, di cui una in cui abbiamo aperto due tiri nuovi, oltre ad aver scavato un sacco di terra!
Andrea Giorda, che da un anno mi chiede quando sarà pronta la via, e che ha partecipato con grandissimo entusiasmo alla prima ripetizione (interamente in libera), legato in cordata con me e con la macchina fotografica incandescente. Che onore!
Fabrizio Ferrari, altro mio mito, accademico ed esigente esploratore delle più belle pareti. Con Adriano Trombetta ha partecipato all’apertura della maggior parte degli Itinerari moderni del Vallone di Noaschetta, e non solo. Un palato fino del granito, non potevo che chiedere a lui per dare i gradi.
Federico Picco, giovane leva della Scuola Gervasutti con cui mi lego sempre più spesso e volentieri, lui i tiri ce li ha sgradati, ma non vale, è troppo alto!
Paolo Zola, ex istruttore della Scuola, compagno di tante avventure di Sandro Zuccon, tra cui un’apertura sui pilastri di fronte all’Ancesieu, da allievo! Erano gli anni di Sturm und Drang.
Last but not least: grazie Sandro, per avermi prestato per un po’ i tuoi occhi da esploratore!
Inoltre vorrei ringraziare Paolo Seimandi, che tra un impegno e l’altro per la sua nuova, stupenda guida sui monotiri in fessura della Valle Orco, ha trovato il tempo di scattare qualche bella foto della nostra parete.
Simona, la titolare dell’ottima trattoria di San Lorenzo (prenotate la merenda, o la cena! tel: 0124800213 - 3475925546), che sin dalla prima volta ci chiede un disegno da appendere.
Una cosa tira l’altra ed eccoci qui un anno dopo… ma finalmente ce l’abbiamo!
Filippo Ghilardini
IA Scuola Nazionale di Alpinismo Giusto Gervasutti
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