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"Ski total”: Pansky Promotion e il Raid nelle Cozie Centrali

di Carlo Crovella

Durante le recenti settimane di reclusione casalinga, l’amico Marco Faccenda (Direttore della Scuola SUCAI a cavallo del 2000) si è imbattuto in un documento da me redatto nel 1989 e riferito ad un raid in sci delle Cozie Centrali in totale autonomia (cioè senza appoggio presso rifugi gestiti, ma con pernottamento in tenda).

Il documento che era marchiato “PANSKY Promotion” ha risvegliato in me antiche emozioni fino a spingermi a ripercorrere l’intera vicenda.

Foto di repertorio o dell’autore

Arrivo in vetta alla Ramière

Ma che diavolo era ‘sta PANSKY Promotion? e cosa c’entrava con le Cozie Centrali in sci?
Bisogna andare con ordine. Nel corso degli anni Ottanta i francesi elaborarono, fra i tanti loro “mantra”, anche quello dello “ski total” (la provenienza transalpina impone l’accento sulla “a” finale): si tratta di uno scialpinismo senza limiti e senza confini, sia geografici che ideologici. Lo ski total era meglio indentificato dallo slogan allora in voga Oltralpe: “toutes neiges-tous terrains”.
Anche senza Whatsapp, su questo argomento mi arrivarono molti messaggi dai mie interlocutori francese, grenoblesi in particolare, ma per gli scialpinisti italiani il concetto venne definitivamente codificato nel 1984. In quell’anno uscì, per i tipi del CDA di Torino, il libro di Bersezio-Tirone intitolato “Gran Paradiso-Vanoise-Delfinato, nei giardini dello sci” e nella prefazione Sylvan Saudan (noto come lo sciatore dell’impossibile perché fu uno dei primi grandi sciatore estremi negli anni ’60-70) descrive a puntino lo ski toutes neiges-tous terrains:

«Credo che un nuovo modello di sciatore stia facondo la sua apparizione. Si tratta di uno sciatore “toutes neiges-tous terrains", esperto di ogni tipo di neve e di terreno. Si tratta di une sciatore che ha imparato a conoscere la montagna ed i suoi rischi, che meglio utilizza i mezzi di risalita senza farsi troppo problemi di «etica» (questo punto è l’unico risvolto che non condivido a titolo personale, NdR), ma che è anche capace di compiere lo più dure salite con le pelli di foca, per il piacere della scoperta, o semplicemente per il piacere di scendere un pendio di neve vergine. Questo nuovo sciatore ha ritrovato insomma il vero spirito montanaro, ha capito quanto sia importante essere prudenti e rispettosi dell'ambiente alpino. Ha anche capito quanto sia indispensabile informarsi delle difficoltà e dei rischi che un itinerario presenta prima di affrontarlo».

Il ritratto che Saudan fa del “nuovo” modo di vivere lo scialpinismo non è per nulla un’elegia dello sci estremo (neppure nella versione, storicamente successiva, dello sci ripido di massa), bensì è l’annuncio di uno scialpinismo “totalizzante” e fuori dagli schemi della precedente impostazione tradizionale.
Mi sono sempre identificato nello spirito dello ski total che giungeva dalla Francia e sentivo che occorreva dare maggior voce a questa impostazione. Per tale motivo decisi di creare una struttura (senza scopo di lucro) che agisse da contesto istituzionale per la diffusione di tutto ciò che concerneva lo ski total: nozioni, informazioni, stimoli ideologici ed operativi e perfino l’organizzazione sul terreno di veri e propri momenti di ski total.

Chiamai questo “incubatore” PANSKY Promotion, ma occorre subito avanzare alcune precisazioni.
Innanzi tutto il nome è la crasi fra il termine greco PAN (tutto) e il mondo dello sci. Va sottolineato che la “Y” è errata. Si trattava di una mia evidente concessione al clima americaneggiante che dominava gli anni Ottanta: il termine corretto è ski e non sky. Anzi l’esistenza, ai giorni nostri, di un’emittente televisiva con la “y” inquina ancor di più i presupposti ideologici della PANSKY, che non ha niente da spartire con una visione “mediatizzata” e consumistica della montagna.
Il suffisso “Promotion” rispondeva all’idea di “fare promozione” (dello ski total), non sottintendo però alcuna finalità di profitto. Non era quindi una “scatola” in cui svolgere attività professionali, ma una specie di “club” per lo sviluppo e lo scambio di esperienze e di nozioni su un “certo” tipo di scialpinismo.

Scartabellando i miei polverosi cassetti, sono riuscito a rintracciare il “comunicato stampa” che elaborai nel gennaio del 1989. Eccolo:

PANSKY Promotion
La PANSKY Promotion, costituita in Torino l’1/1/1989, si propone, come oggetto principale della sua attività, la realizzazione e la promozione dello sci "totale" (ski total in francese).
Rientrano in tale definizione l'impostazione, la preparazione e l'esecuzione di programmi scialpinistici di significativo rilievo tecnico.
L'obbiettivo consiste nella capacità di organizzare e completare raid in sci di due o più giorni, su terreno che presenti difficoltà sciistiche e/o alpinistiche, con particolare riguardo all'aspetto esplorativo ed innovativo.
A completamento dell'attività di base, la PANSKY Promotion punta anche ad altri obiettivi, quali la sperimentazione e la diffusione di nuove tecniche e materiali; la scoperta e la divulgazione di itinerari inediti attraverso la compilazione di relazioni e monografie; nonché la raccolta di notizie, informazioni, aggiornamenti e tutto quanto risulti utile per la realizzazione dello sci "totale" e la promozione di tale disciplina.
La PANSKY Promotion intende presentarsi come una struttura istituzionale (innovativa per l'esperienza storica) intorno alla quale possa ruotare l'attività di uno scialpinismo moderno ed alternativo rispetto a quello di stampo tradizionale.
La PANSKY Promotion desidera sottolineare la sua autonomia ed indipendenza nei confronti di tutti gli altri sodalizi istituzionali, con il quali intende però instaurare intensi rapporti di proficua collaborazione.
Anche se l'obiettivo della PANSKY Promotion consiste nell’impostazione di interessanti progetti a tutto vantaggio dei partecipanti, essi concorrono in prima persona all'attività, assumendosi direttamente tutti i rischi connessi e contribuendo a sostenere i costi di realizzazione dell’attività.
La PANSKY Promotion punta per il 1989 alla realizzazione di due raid in sci ancora inediti: "L'avventura a due passi da casa" (tour delle Alpi Cozie Centrali) e "L'anello dei Nibelunghi" (giro intorno alla Dent Blanche nel Vallese).
Da entrambi i raid sarà tratto un articolo per riviste specializzate.
L'organizzazione si impegna a divulgare i programmi futuri con opportuno tempismo, in modo che gli interessati ne siano al corrente in tempo utile.

A distanza di oltre 30 anni, il tono velleitario dell’esposizione può far sorridere, ma quel momento storico è stato cruciale per la mia esperienza personale. Mi trovavo infatti nella fase in cui, avendo terminato il mandato da Direttore SUCAI già da qualche tempo, potevo dedicarmi senza alcuna remora ai più disparati progetti individuali.
La PANSKY rientrava fra queste iniziative e registrò un inizio piuttosto vivace: si trattava in parole semplici di una “cassa di risonanza” di nuove idee, con scambio di esperienze, informazioni, nozioni e lancio di programmi operativi. Il tutto va inserito in un contesto generale dove non esistevano gli attuali canali di divulgazione a tappeto: internet non si immaginava neppure cosa fosse, almeno l’internet che oggi ci arriva in casa o sugli smartphone, e i primi cellulari erano dei macigni che costavano 2 o 3 milioni di lire. Le informazioni quindi viaggiavano secondo i canali classici, cioè libri e riviste, che, seppur di qualità ineccepibile, richiedevano però lunghissime tempistiche di divulgazione.
La PANSKY si proponeva di “accorciare” tali tempistiche, attraverso l’esempio diretto, le conversazioni fra amici, l’organizzazione di eventi pubblici e, soprattutto, con la diffusione di documenti cartacei che evidenziassero le caratteristiche degli itinerari affrontati con la logica dello ski total.

In sintesi possiamo affermare, con i parametri attuali, che la PANSKY era l’antesignano di un blog o di uno spazio social di oggi: in questo consiste quindi la sua novità concettuale.
C’è qualcosa di più. Come dimostra il comunicato sopra riportato, la PANSKY puntava a coniugare lo ski total con un altro “mantra” che proveniva in quegli anni dalla Francia: lo sci di raid. A ben vedere la novità non era assoluta, in quanto il concetto delle hautes routes (con o senza sci) è vecchio come il mondo. Tuttavia i francesi degli Ottanta lo rivisitarono in una versione innovativa, celebrata dai libri di Michel Parmentier, vero paladino del settore.

Copertina del libro Les Grands Raids a ski di Michel Parmentier

In quel frangente l’approccio puro ai raid prevedeva l’autonomia totale, ovvero la capacità di muoversi per più giorni senza punti di appoggio gestiti. Imperava quindi il pernottamento in tenda o, al massimo, in bivacchi e nei locali invernali dei rifugi, ma senza gestore.
In più, già all’epoca un mio pallino aggiuntivo era quello di realizzare giri ad anello, altro concetto che, in anni molto più recenti, sarà codificato dai francesi con il termine di “boucle”. A ben vedere l’attuale visione della boucle è principalmente riferito a itinerari in giornata (si sale in cima da destra e si scende da sinistra, ecc) o poco più, coerentemente con la filosofia oggi dominante di uno scialpinismo rapido e prestazionale, con significativi dislivelli e con attrezzatura al seguito estremamente leggera.

Nella mia impostazione di allora, i raid prevedevano in genere 4-5 tappe effettive, il che significava un potenziale impegno anche di 6-7 giorni, considerando le interruzioni per la meteo avversa o per altri intoppi. Questo approccio comportava un bagaglio “pesante” (zainoni con tenda, sacco a pelo, fornello, viveri adeguati) e non si poteva sposare con la visione prestazionale oggi in auge. Inoltre zaini pesanti e organizzazione in autonomia non potevano coniugarsi con elevati dislivelli ed eccessivi spostamenti giornalieri. Tuttavia, come si potrà costatare nel documento finale, le tappe non scherzavano affatto e per affrontare un raid in autonomia occorre (oggi come allora) una meticolosa preparazione tecnica e atletica, nonché una profonda motivazione personale.
La PANSKY aveva già identificato il programma della sua immediata attività operativa che, più o meno, riuscì a realizzare. Negli anni successivi l’iniziativa purtroppo si insabbiò, ma non per mancanza di credibilità ideologica, bensì perchè la mia vita registrò una virata strutturale che mi portò in breve tempo a sostenere nuove responsabilità (matrimonio, subito i figli, ambizioni professionali, ecc). Molte delle iniziative del quinquennio precedente finirono “a bagno maria”. Analogo destino subì anche la struttura gemella “Le Trote Guizzanti”, dedicata alla divulgazione del canyoning (o torrentismo, come allora si chiamava).

In realtà il concetto di “incubatore” di konw how di montagna non è mai sparito del tutto: è proseguito a livello individuale come attività editoriale ed è riemerso esplicitamente circa 7-8 anni fa sotto forma della collana di e-book distribuiti via internet. La collana si intitola “Quaderni di Montagna” e, in tema di scialpinismo, comprende per ora due monografie sciistiche: “La Vela Bianca” (sottogruppo Ramière-Roc del Boucher) e “I Re Magi” (dedicata all’omonimo gruppo fra Bardonecchia e la Valle Stretta).
Dei due raid che, nel 1989, aveva in programma la PANSKY, fu realizzato con successo l’anello intorno alla Dent Blanche (Vallese) e il relativo articolo uscì su Dimensione Sci, l’annuario di sci della Rivista della Montagna (coordinato da Giorgio Daidola).
Il raid delle Cozie Centrali non ebbe medesima fortuna. Al momento della programmazione (inizio primavera 1989), si misero di mezzo prima le avverse condizioni meteo, poi l’impossibilità di intrecciare gli impegni dei vari partecipanti.

Decisi allora di partire da solo per una perlustrazione: avevo in programma di traversare da Rodoretto all’alta Val Troncea per dormire in tenda e tornare a Rodoretto il giorno successivo. Ma nella notte si scatenò una poderosa nevicata ed incontrai serie difficoltà anche solo a scendere la Val Troncea. Proseguii (un po’ in sci, un po’ a piedi) fino a Pragelato, dove mi imbarcai, bagnato e infreddolito, sulla corriera per Torino. Immaginatevi come mi guardavano i passanti quando ho caricato, nella pancia della corriera, tutto quello che avevo con me: sci, zaino himalayano, tenda, piccozza, ramponi… insomma sembravo un marziano piombato per sbaglio in alta Val Chisone. Non vi dico poi quanto ho penato, nei giorni successivi, per recuperare l’auto, rimasta a Rodoretto e sepolta sotto cumuli di neve.

Non sono mai riuscito a realizzare in un colpo solo questo raid, però nel corso dei decenni ho percorso le varie tappe con uscite in giornata o con traversate parziali.
Mi resta il rammarico di non aver vissuto l’esperienza nella sua completezza: ci si muove fuori dal mondo, pur trovandosi a pochi chilometri da affollatissime stazioni sciistiche. E’ il concetto, davvero affascinante, che l’amico Lorenzo Bersezio (anch’egli istruttore di lungo corso della SUCAI) ha codificato con la definizione “l’esotico vicino”: non è necessario spostarsi in luoghi lontani (Alaska, Groenlandia, Siberia…) per vivere un’avventura scialpinistica in pieno isolamento.

Più che per le prestazioni tecnico-atletiche, l’esperienza è rilevante sul piano psicologico-caratteriale. In raid di questo tipo devi essere mentalmente e tecnicamente pronto a contare solo su te stesso: anche un piccolo inconveniente può diventare un problema rilevante. La stanchezza, poi, si accumula rapidamente e ogni giorno occorre stringere i denti sempre un po’ di più.
I compagni di avventura sono certamente coinvolti in una reciproca solidarietà, ma questa conta fino a un certo punto. Le motivazioni risiedono dentro di noi ed è là che dobbiamo attingere la forza per procedere oltre, ad ogni costo.

In esperienze di questo genere si impara a “governare” la macchina del proprio fisico e della propria mente. Cioè si impara a saper dosare la progressione, mangiare al momento giusto, vestirsi nel modo appropriato per ogni istante, svolgere le mansioni di gruppo (montaggio/smontaggio tende, sciogliere la neve sul fornello, preparare i pasti…). Ogni partecipante acquista una profonda consapevolezza di sé, ma ciò non basta: occorre anche armonia e compattezza nella squadra.
Si tratta quindi di elementi esperienziali che quasi non coinvolgono i parametri oggi in voga nell’approccio “mordi e fuggi”: cioè salire velocissimi, sciare sul ripido o addirittura sul ripidissimo, zainetti afflosciati, contenenti solo barrette energetiche e una borraccetta da mezzo litro.
Correre impedisce di compenetrarsi con la montagna che è, invece, il vero significato dei raid integrali ed è quello che più mi affascina del girovagare per i monti. Poterlo vivere a pochi chilometri da affollate località turistiche è poi la ciliegina sulla torta: è la sfida nella sfida.

RAID ad anello delle ALP COZIE CENTRALI in autonomia totale (pernottamenti in tenda)
Nota 2020 (in rosso anche in seguito): la seguente relazione, risalente al 1989, è complessivamente ancora attuale, a conferma che questo spicchio di montagne è rimasto selvaggio come 30 anni fa. Cogliete l’opportunità e mantenete inalterato il carattere di queste valli.

Località di partenza: Rodoretto 1432 m
Località di arrivo: Giordano 1500 m
Dislivello complessivo salita: 5405 m
Dislivello complessivo discesa: 5337 m
Difficoltà: BS/BSA (secondo i percorsi scelti e le condizioni)
Epoca: marzo-aprile, anche maggio accettando più portage (sci in spalla)
Materiale: piccozza, ramponi (corda e attrezzatura alpinistica secondo condizioni); tenda, sacco a pelo, fornello.
Cartografia:
- IGC 1:50.000 foglio n. 1 "Val di Susa Vai Chisone" e foglio n. 6 “Monviso”
- IGM 1:25.000 foglio n. 66 tavoletta "Col di Thuras"; foglio n. 67 tavolette "Massello" e "Prali"
- IGN 1:25.000 (serie blu) foglio 3637 ouest "Aiguilles"
Bibliografia:
- F. Ferreri (aggiornamento) "Alpi Cozie Centrali", CAI-TCI, Milano 1982 (supervisione della parte scialpinistica a cura di Roberto Aruga)
- G. Bolla, B. e M. Palladino, "L'alta Val Germanasca", in R.d.M n. 34, dicembre 1978
- SUCAI-Torino, "Dalle Marittime al Vallese", CDA, Torino 1982
- P.e C. Traynard, "Domes pics et neige", Artahud, Parigi 1985.
(Bibliografia del documento originario: da allora è aumentata in modo significativo, NdR)
Accesso: da Torino a Pinerolo, dove si imbocca la Val Chisone (direzione Sestriere). Giunti a Perosa Argentina si prende la strada per la Val Germanasca, che si risale fino a qualche chilometro prima di Prali, dove un bivio (segnalato) permette di raggiungere Rodoretto.

L'abitato di Rodoretto nei mesi innevati

PERCORSO DEL RAID:

1ª Tappa: Traversata del Monte Pignerol 2876 m
Luogo di partenza: Rodoretto 1432 m
Luogo di arrivo: Bergerie Roccias (Val Troncea) 2103 m
Dislivello in salita: 1444 m
Dislivello in discesa: 773 m
Difficoltà: BS
Salita: Dall'ultimo torrente della strada asfaltata, subito prima di Rodoretto, percorrere la stradina che si inoltra lungo il fianco sinistro orografico del vallone. Oltrepassato Arnaud, si raggiungono i casolari di Balma, 1710 m. Poco oltre occorre risalire sulla destra e imboccare lo stretto valloncello, denominato Comba Scura, che termina ad un ripiano (2500 m circa) dove si svolta a sinistra. Per pendii più ampi e meno sostenuti si guadagna il Colle Valletta 2690 m, dal quale è già possibile scendere in Val Troncea. Volendo giungere in vetta al Monte Pignerol, dal Colle Valletta occorre percorrere la cresta Sud, poggiando sul versante Troncea, specie in corrispondenza del risalto quotato 2789 m. In alternativa al Monte Pignerol, si può salire al Monte Lungin 2921 m (innominato sulla carta IGM): con buone condizioni può essere conveniente, prima ancora di raggiungere il Colle Valletta, rimontare il valloncello-pendio che contorna la cresta spartiacque sul versante Rodoretto.

La Val Troncea vista dal basso

Discesa: dalla vetta del Monte Pignerol è possibile sciare direttamente lungo il suo versante Ovest (piuttosto ripido, valutare le condizioni), tenendo alla propria sinistra il contrafforte che scende dalla quota 2789 m. In tal modo si cala direttamente sulle Bergerie Roccias.
Dal Colle Valletta si scende in direzione Ovest fino a contornare la base del costone discendente dal risalto 2789 m della cresta Sud del M. Pignerol. Si prosegue successivamente in direzione N fino a Roccias.
Dal Monte Lungin si cala sul Colle Valletta per la Cresta Nord oppure (in condizioni di sicurezza) si scende lungo il versante Nord Ovest ricollegandosi verso i 2400 m all’itinerario che proviene dal Colle Valletta.

La Val Troncea vista dal Monte Appenna

2ª Tappa: Traversata del Monte Appenna 2979 m
Luogo di partenza: Bergerie Roccias 2103 m
Luogo di arrivo: Argentiera 1837 m
Dislivello in salita: 876 m
Dislivello in discesa: 1142 m
Difficoltà: BS
Salita: dalle Bergerie Roccias si scende a valicare il torrente per seguire il percorso della mulattiera che, sull'altro versante orografico, si inerpica nell'anfiteatro culminante con l'insellatura del Col Clapis.
Conviene mantenersi, come fa appunto la mulattiera estiva, sopra un evidente dosso compreso tra il rio Platas ed il rio Clapis.
Oltrepassato il culmine di tale dosso, si traversa (quota 2670 m) verso Est finché a quota 2730 m circa (nei cui pressi oggi si torva il bivacco, NdR) un costone induce a piegare nuovamente in direzione Sud verso il Col Clapis, 2851 m, dal quale per facile cresta (larga e arrotondata) si giunge all’anticima del Monte Appenna: il successivo e affilato tratto di cresta orizzontale normalmente non si percorre.

Il tratto finale del Monte Appenna dal Col Clapis

Si segnala che è anche possibile raggiungere l’anticima risalendo il (ripido e, quindi, da valutare) pendio nordoccidentale, senza passare per il Col Clapis.

La discesa dal Monte Appenna verso la Valle Argentera

Discesa: imboccando direttamente l’ampio versante Ovest- Sud Ovest della montagna, oppure ripassando dal Col Clapis, si cala in costante direzione Ovest-Nord Ovest, percorrendo gli splendidi plateaux che conducono alle grange di Argentiera, 1837 m.

Ramière versante Argentera: evidente, sulla destra, il solco del vallone di salita

3ª Tappa: Traversata della Punta Ramière 3303 m
Luogo di partenza: Argentiera 1837 m
Luogo di arrivo: La Montette (Queyras) 1921 m
Dislivello in salita: 1466 m + 197 m = 1663 m
Dislivello in discesa: 703 m + 885 m = 1588 m
Difficoltà: BS/BSA a seconda del percorso seguito e delle condizioni
Salita: da Argentiera si prosegue verso il fondo valle fino ad imboccare, sul lato sinistro orografico, un ripido sentiero (da percorrere sci a spalle), che conduce in diagonale alla quota IGM 2187 m. (Nota 2020: la partenza di tale sentiero è oggi evidenziata dalla presenza del parcheggio estivo con palina).
Questo sentiero percorre l'unico punto debole del salto roccioso che sovrasta il fondovalle. Al di sopra di tale salto, dalla quota 2187 m occorre traversare in direzione Ovest per incunearsi nel profondo solco del vallone del Grand Adreit.

Ramière versante Argentera: a destra il marcato solco del vallone del Grand Adreit

Superata una strozzatura del vallone, compresa tra i 2500 e 2650 m circa, si risalgono i ripidi pendii sommitali, dapprima verso sinistra e poi con un lungo traverso ascendente verso destra, fino a pervenire al Colle della Ramière 3007 m.
Dal colle si giunge in vetta percorrendo la cresta Nord Ovest della Ramière.

Ramière versante Argentera: vetta e Cresta Nord Ovest viste dai pendii superiori del vallone di salita

Discesa: Ritornati al Colle della Ramière, si volta a sinistra e con direzione Ovest, si scende fin verso i 2600 m alla base del pendio che conduce al Colle Thuràs (poco sotto oggi si trova il bivacco Tornior, NdR). In alternativa, se le condizioni lo consentono, è consigliabile scendere direttamente dalla vetta lungo il versante Ovest-Nord Ovest fino alla quota indicata.

Ramière versante Thuràs: con neve assestata è possibile scendere il pendio centrale

Dopo aver ripellato, si valica il Colle Thuràs 2797 m per calare in territorio francese per pendii sostenuti che, a causa dell'esposizione sudorientale, richiedono una certa cautela (data l’ora presumibilmente non mattutina).

Col Thuràs: pendio da risalire (lato italiano)

Si scende fin verso i 2150 m, dove si traversa con decisione a sinistra (Est) fino all’alveo del Rif Fourens. Si scende ulteriormente fino in corrispondenza di un ponticello (2020 m circa) posto a monte della forra del Torrent de Golon. A quel punto si traversa a sinistra in leggera discesa fino a La Montette 1912 m.
Variante di discesa: con neve assolutamente assestata è possibile scendere in sci direttamente dalla vetta lungo il ripido versante Sud (vedi Traynard).
Da quota 2600 m circa si inizia a traversare verso sinistra e, contornata una balza rocciosa (2550 m), prosegue ancora in traverso fino ad oltrepassare il Torrent des Gorges du Fournier.
A qual punto, voltando a destra, si cala direttamente su La Mountette.

Questo itinerario, particolarmente remunerativo dal punto di vista sciistico, va intrapreso solo con adeguate condizioni del manto nevoso e con un opportuno allenamento tecnico e atletico (lungo pendio ripido con zaini pesanti).
L'impossibilità di sondare preventivamente la sicurezza del pendio Sud (tra l’altro sottovento rispetto ai grandi venti nordoccidentali, NdR) richiede un'appropriata esperienza nel valutare le condizioni del manto nevoso.

Dalla vetta della Ramière il panorama verso Sud (Queyras)

4ª Tappa: Traversata della Cima Frappier 3003 m
Luogo di partenza: La Montette 1912 m
Luogo di arrivo: Giordano 1500 m
Dislivello in salita: 794 m + 628 m = 1422 m
Dislivello in discesa: 331 m + 1503 m = 1834 m
Difficoltà: BS (BSA in alcuni tratti a seconda delle condizioni)
Salita: da La Montette si sale direttamente il soprastante dosso (direzione Nord-Nord Est), abbandonandolo verso i 2450-2500 m per introdursi nel vallone che conduce al Colle Mait (Mayt su alcune carte) 2706 m.

Cima Frappier (a sn) e Gran Queyron (a dx) dalla Ramière. Al centro la testata del Vallone del Gran Miol (4 tappa)

Discesa: dal Colle si scende il valloncello sul versante italiano, prestando attenzione alla barra rocciosa posta verso i 2450-2500 m.
Occorre contornare tale barra sul suo limite superiore dirigendosi verso destra. Pervenuti alla sua estremità Est, 2420 m circa, anziché calare verso il torrente di fondovalle, si traversa ancora in quota, puntando a raggiungere il pianoro poco sopra la congiunzione di due torrenti (quota IGM 2375 m).
Risalita: Rimesse le pelli, si procede lungo il tracciato del torrente principale fino a quota 2550 m circa, dove svoltando a sinistra, si raggiunge in direzione Nord Est il Passo della Longia 2817 m.
Dal colle si guadagna la Cima Frappier per la sua Cresta Nord Ovest (ramponi utili a seconda delle condizioni).

Ramière vista dalla Frappier. Evidente al centro il valloncello (sbarrato da balze rocciose) che dal Col Mait scende sull'alta Valle del Gran Miol

Discesa finale: Ritornati al Passo della Longia si imbocca l'invitante Vallone omonimo, abbandonandolo verso i 2250 m circa, quando cioè il vallone piega decisamente a destra verso il basso (incuneandosi, tra l'altro, in una fossa impercorribile)
Con un marcato traverso (delicato con neve instabile) verso sinistra si raggiunge lo stretto intaglio denominato Colle della Bocchetta 2217 m.
Si scende il ripido valloncello che ne costituisce il versante settentrionale, fino a raggiungere le Bergerie Selletta, 1798 m.
Attraversato il rio, si cala direttamente su Pomieri, 1571 m, e da qui a Giordano, 1500 m.
In autostop, o sfruttando un automezzo preventivamente posizionato a Giordano, si ritorna a Rodoretto.

Cima Frappier: il Vallone della Longia (discesa 4 tappa)

Variante 4ª Tappa: Traversata del Col d’Abries Sud 2657 m
E' possibile ritornare in Italia attraverso un itinerario più semplice (dislivello in salita: 745 m).
Da La Montette si risale il vallone lungo il Torrent du Col Saint Martin fino al Col d’Abries Sud (Col Saint Martin su alcune carte) 2657 m.
Dal Colle si discende il pendio, inizialmente molto ripido, fino a quota 2450 m, dove si incontra l’itinerario per il Rifugio del Lago Verde.
Lasciando alla proprio destra l’accesso a tale rifugio, si prosegue in direzione Nord Est e si percorre il pianoro al termine del quale si svolta nettamente a destra in corrispondenza della quota IGM 2218 m.
Dopo aver attraversato fin sotto la Costa di Viafiorcia, si prosegue in direzione Nord puntando alle grange di Bout du Col 1698 m: prima di raggiungerle, (quota 1750 m circa) si rintraccia una cararreccia che, transitando per Ribba 1668 m, conduce a Giordano.
Se il pendio di discesa dal Col d’Abries Sud non è in condizioni, si può transitare dal Col di Valpreveyre 2737 m, il cui versante italiano è meno ripido. Si raggiunge tale colle dal lato francese del Col d’Abries Sud con un semicerchio in saliscendi che oltrepassa un primo costone, la Crete de la Reychasse, verso i 2590 m ed un secondo, in località Le Chalanties, a circa 2430 m. Da lì si risale al colle di confine e si scende in Italia.

Il percorso del raid

Nota finale 2020: L’apertura in tempi recenti del rifugio Troncea, nell’omonima valle, non pare funzionale per questo raid perché costringerebbe a calare troppo in basso (dovendo poi risalire il giorno dopo).
Viceversa l’esistenza di due bivacchi fissi seppur incustoditi (quello poco sotto al Col Clapìs presso il Monte Appenna ed il Tornior sotto al versante italiano del Col Thuràs) potrebbe indurre a percorrere il raid senza il peso della tenda. Occorre però rimodulare le tappe, che da quattro diventano tre, con dislivelli giornalieri in alcuni casi più marcati, risvolto forse coerente con un approccio più moderno e più “sportivo”.
In tal caso il percorso risulterebbe così suddiviso:
1ª Tappa: Rodoretto – Monte Pignerol - Roccias – risalita al Col Clapìs
2ª Tappa: puntata in vetta (anticima) al Monte Appenna – discesa fino ad Argentiera – salita alla Ramière (quanto meno fino all’omonimo colle) – discesa al bivacco Tornior
3ª Tappa: traversata del Col Thuràs – discesa a La Montette – salita al Col Mait – discesa nell’alta valle del Gran Miol – salita alla Cima Frappier (quanto meno fino al Passo della Longia) – discesa su Giordano (in alternativa da La Montette si può passare per il Colle di Abires Sud o per il colle di Valpreveyre, come descritto in variante).
La suddivisione delle tappe appare meno logica di quella originaria. Inoltre correre dietro ai grandi dislivelli rischia di far venir meno lo spirito di fondo che anima il desiderio dei raid in autonomia integrale: quello di procedere con i tempi della montagna e non imponendo alla montagna i tempi dell’uomo.
L’augurio conclusivo è che gli eventuali ripetitori sappiano cogliere questo messaggio finale, che è il vero “succo” dello “ski total”.

Il Monviso visto dalla Cima Frappier


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