

Storia del Cai a puntate, cosa è rimasto di quegli anni Ottanta?
di Club Alpino Italiano
La vera protagonista diventa l'arrampicata sportiva. Si lasciano le cime preferendo la bassa quota in un decennio che porta a compimento le trasformazioni degli anni Settanta
Roberto Mantovani ci guida negli anni Ottanta. In questo decennio le trasformazioni iniziate negli anni Settanta portano frutti nuovi nel mondo dell'alpinismo. In particolare grande successo avrà l'arrampicata sportiva:
"È una montagna senza cima, a sfidare i suoi frequentatori al principio degli anni Ottanta. Come avesse perduto la testa, si fosse sgretolata per ripartire dal livello del mare. Non sono più le Alpi, non più solo quelle, il terreno di gioco dell’Europa. Sulle pareti di bassa quota sta nascendo una nuova disciplina che non sarà effimera e poco avrà a che fare con l’alpinismo. È l’arrampicata sportiva la nuova protagonista e l’aggettivo assumerà un significato più profondo di quel che allora avremmo potuto pensare. Di che cosa realmente si tratti, quali siano le sue regole, la sua etica, tuttora è difficile dirlo. E ognuno infatti la interpreta a proprio modo, in anni di crescita impetuosa.
Quella che chiamiamo arrampicata sportiva si intreccia spesso e volentieri con il free climbing di un’epoca che sembra cronologicamente vicina, ma è già così lontana. La ricerca delle difficoltà è portata alle sue estreme conseguenze dall’utilizzo di protezioni aleatorie e allo stesso tempo spinta verso l’alto dall’irruzione degli spit che rendono un volo parte integrante della progressione. Due aspetti poco compatibili, evidentemente, ma che coabitano in un’epoca di grandi contraddizioni, non solo ai piedi delle montagne.
Ciò che accade lassù e sotto è diretta conseguenza della rivoluzione del decennio precedente, i venti di cambiamento che da strade e università avevano cominciato a soffiare sulle pareti di roccia. Anche su quelle che finora non erano state degnate di uno sguardo o considerate al massimo palestra per cimenti ben più alti e prestigiosi. Sono le tecniche del 'movimento del ’77', l’onda lunga della contestazione a tutto campo, portate in montagna o su ciò che resta di essa. La responsabilità è anche di un volume di grande successo che Alessandro Gogna pubblica nel 1981 presso Zanichelli, Cento nuovi mattini, quasi un 'on the road' per gli appassionati, il cui titolo si rifà al gruppo dei torinesi ispirati da Gian Piero Motti, seguito un anno più tardi da Mezzogiorno di pietra. È la testimonianza di ciò che si sta muovendo un po’ dappertutto, la messa in connessione di tribù che non si conoscevano dal Piemonte alla Sicilia, dalla Liguria alla Lombardia e al Lazio.
A gridare ciò che sta accadendo nel Trentino, non sulle pareti dolomitiche cariche di storia, ma sui calcari a picco sul lago di Garda, ci pensa Roberto Bassi, che sempre per l’editore bolognese scrive nel 1984 Arrampicare in Valle di Sarca e racconta il rivolgimento di gradi, chiodature, allenamenti, alimentazione che sta spingendo sempre più su il livello della difficoltà, a opera sua e dei pard, a cominciare da Manolo, Heinz Mariacher e Luisa Iovane. Nel 1979 era uscito Il gioco-arrampicata della Val di Mello di Ivan Guerini, a tirar fuori dai recessi del Màsino le provocazioni degli scalatori con la suola di “aerlite” e dei primi “sassisti”.
Rovescia definitivamente il tavolo, nel 1985, Emanuele Cassarà, che assieme ad Andrea Mellano – accademico del Caai, nella cordata dei primi italiani sulla nord dell’Eiger, nel 1962 – organizza a Bardonecchia le prime gare del mondo occidentale con il titolo di 'SportRoccia'. Non si tratta di una novità assoluta, nell’Unione sovietica esistono da mezzo secolo e sono una sorta di 'trial' per la scelta degli alpinisti cui finanziare attività e spedizioni. E già Georg Winkler, morto nel 1888 sul Weisshorn, si chiedeva: “Per le gare in bicicletta ci sono premi. Perché no per la scalata più veloce di un monte?”. Cassarà, giornalista sportivo, vede nelle competizioni uno strumento di misura delle capacità effettive dei concorrenti, ma l’evoluzione sarà diversa.
Non che a tutti piaccia l’idea di scendere in campo. Il battage mediatico e il gran convergere di sponsor sotto la Parete dei Militi, dal 5 al 7 luglio 1985, richiamano comunque il top dei climber mondiali, disposti o no a gareggiare. Non dovrebbero esserci i francesi i quali, solo qualche mese prima, avevano siglato un 'manifesto dei 19' che ribadiva, per opporsi a un meeting competitivo organizzato in maggio a Parigi, la visione 'd’une escalade qui refuse certains modèles de notre société et s’oppose à tous les sports chronométrés, arbitrés, officiels et trop institutionnalisés'. Il primo firmatario Patrick Bérhault coerentemente non passa neppure da Bardonecchia, ma a sorpresa s’iscrive, tra i nomi della lista, una giovane e non ancora conosciuta Catherine Destivelle, che vince battendo Luisa Iovane e trionferà anche nelle due edizioni successive.
E il Cai? Alla conferenza stampa di presentazione, a Milano, l’organizzatore aveva messo le mani avanti: 'Non abbiamo trovato, salvo poche eccezioni, una vera ostilità da parte delle autorità alpinistiche italiane, innanzi tutto il Cai, e siamo grati alla Presidenza Generale del Sodalizio per la... benevola astensione'. Cassarà aveva la vena del giornalista e amava mettere del pepe: in realtà 'SportRoccia' nasce anche grazie al Cai. Le basi teoriche erano state messe nel 1983 in un articolo scritto da Mellano per il Bollettino dell’Accademico, il comitato organizzatore era sorto all’interno dell’Uget, sezione storica di Torino, e Lo Scarpone del 16 luglio 1985 dedica alla gara in Val Susa la copertina con una foto di Jacky Godoffe – secondo dietro all’imbattibile Stefan Glowacz – scattata da Piero Carlesi e un attento e affettuoso reportage di Mariola Masciadri, che pure attacca così il suo pezzo: 'L’articolo che segue registra la cronaca di un avvenimento ed eventuali considerazioni si devono ritenere del tutto personali e non sono in alcun modo coinvolgenti come voce ufficiale del sodalizio'
E però tre mesi più tardi Lo Scarpone raddoppia con una pagina di Oscar Soravito – classe 1908, nella giuria delle gare assieme a Riccardo Cassin, un anno più giovane – che ribadisce il giudizio positivo suo e a questo punto anche di gran parte del Cai. La sua disamina è assai articolata, affronta con lucidità il possibile futuro delle competizioni e risponde ironicamente anche all’accusa più ripetuta: 'L’arrampicata sportiva non è alpinismo, su questo punto sono tutti d’accordo... e il pensiero corre a M. de la Palisse'.
'SportRoccia' prosegue per tre edizioni, sdoppiandosi nel 1986 fra Bardonecchia e Arco e dal 1989 diventa una tappa della neonata 'Coppa del mondo'. Mentre Arco si trasforma in master a inviti e mostra la sola strada da seguire: il definitivo abbandono della roccia per le pareti artificiali. Il tentativo di intervenire con cemento, resina e prese sintetiche avvitate sulla roccia, per modificare gli itinerari di gara, si rivela infatti impraticabile, oltre che pericoloso. Il futuro è definitivamente segnato, anche se le speranze di allora non si sono del tutto avverate. Il primo 'SportRoccia' viene seguito con grande attenzione dai periodici specializzati cosiddetti laici, la 'Rivista della Montagna' nata nel 1970 e 'Alp', che dal maggio 1985 aveva aggiunto una fiammata ulteriore a un ambiente già in ebollizione. In entrambi i casi si prevedeva la nascita di una federazione ad hoc (la Fasi viene fondata nel 1987) e di un circuito sull’esempio addirittura della Formula 1, con denaro per tutti. Non è andata così, ma se l’arrampicata sportiva è oggi una disciplina entrata con pieno diritto nelle scuole, il merito va alla manifestazione di Bardonecchia. E se nei timori di allora, nelle puntigliose discordanze tra alpinismo e altro c’era anche la paura di uno svuotamento del serbatoio dei soci del Cai, beh, i timori erano infondati. Il 1983 si apre con 200.112 iscritti per 355 sezioni, alla fine del 1992 e di un decennio non proprio tranquillo se ne contano 300.000 in 446 sezioni (un andamento che si ripete anche nella Sat, da 13.069 a 19.122), nella sostanza il numero che resiste fino a oggi".