Andrea Giorda intervista J.M. Cambon, recentemente scomparso
di Andrea Giorda
L’ironia era il tratto chiave di Jean Michel Cambon. Omino minuto e arguto ha saputo leggere il suo tempo aprendo alcune tra le più belle vie sulle alpi occidentali, come Ranxerox alla Tete D’Aval .
Il massiccio degli Ecrin o il Delfinato, come diciamo noi, era considerato in Francia il fratello povero del Monte Bianco anche per la pessima qualità della roccia.
Cambon, con senso d’umorismo e per incuriosire, nel sottotitolo della sua famosa guida Oisan Nouveau-Oisan Sauvage …scriveva: “250 Itineraires..parmi le moins pires de massifs” ... ossia "250 itinerari tra i meno peggio del massiccio"!
Lui amava quelle montagne, proprio perché meno riconosciute e ha passato la vita a valorizzarle.
Era nato a Parigi nel 1952, insegnante di educazione fisica, nel 1973 si è trasferito a Briancon poi a Saint Martin d’Heres vicino a Grenoble dove attualmente viveva. Nel 1977 è uscito dal prestigioso GHM ( Gruppo alta montagna francese) perché non ne condivideva gli obiettivi.
Nel 2004 Pietro Crivellaro ed io fummo inviati dalla Rivista Alp per una monografia sul Delfinato ad intervistare due grandi protagonisti: Pierre Chapoutot personaggio chiave della storia del Delfinato e della vecchia guardia e Cambon più giovane e suo amico. Chapoutot morì poco dopo sepolto da una valanga e ora ci tocca registrare la triste notizia che anche Cambon è mancato.
Cambon l’ho incontrato spesso a volte in parete da solo a chiodare, era sempre affabile e scherzoso. Era stato amico di Giancarlo Grassi e con lui nel 1982 aveva tentato di aprire sul Monte Castello a Noaschetta una via diretta sulla parete Nordest. Via che pochi giorno dopo aprimmo io e Mario Ogliengo denominata Aldebaran.
Come ho scritto di recente su questo sito (Generazione Sitting Bull), Cambon era uno di quelli che aveva vent’anni negli anni settanta. La generazione che ha traghettato dal vecchio al nuovo mondo l’arrampicata, nel rispetto sempre di chi ci ha preceduti. L’ho sempre sentito molto vicino, essendo io stesso divorato dalla passione di creare sempre nuovi itinerari. Passione che l’ha tradito, come spesso succede, per qualche banalità
Nel suo ricordo, e con la massima riconoscenza per quello che ha dato con le sue splendide vie e le sue guide, ripropongo l’intervista del 2004 da me realizzata, in collaborazione con il mio grande compagno di cordata e accademico Pietro Crivellaro.
La Rivoluzione dell’arrampicata: Jean-Michel Cambon e le sue “Vie meno peggio”
Bofonchia, sbuffa e si esprime volentieri a gesti. Jean Michel Cambon, classe 1952, si appassiona al racconto di oltre trent’anni di vita spesi ad aprire più di 250 vie nel massiccio degli Écrins.
Una via, precisa Jean Michel con un certo compiacimento, deve essere lunga almeno 200 metri per considerarsi tale. Ora vive alla periferia di Grenoble al primo piano di una scuola dall’aria sconsacrata, dedicata a George Sand, la scrittrice, amica di Frédéric Chopin, che fece scandalo perché vestiva da uomo, fumava e parlava esplicitamente di esplorazione della sessualità femminile ai primi dell’800.
In casa Cambon si respira un’aria alternativa e rivoluzionaria, sopita dalla sua compagna che, noncurante del mito, lo richiama a ben più terreni doveri di padre di famiglia. Capiamo che il tempo stringe e iniziamo l’intervista…
Jean Michel Cambon e Andrea Giorda. Foto Pietro Crivellaro
Jean Michel, ci racconti come è nata la tua passione?
Ho iniziato ad arrampicare nel ’68. Sono originario di Parigi, il mio desiderio era andare in montagna a ripetere i grandi itinerari e sono approdato a Chamonix.
Nel 1972 ho conosciuto Jean Marc Boivin, un grandissimo personaggio, per un anno abbiamo scalato insieme affrontando le più difficili vie del momento, la Bonatti ai Dru, la via Americana al Fou e tante altre. Ce la cavavamo bene, anche se l’attrezzatura era quella tradizionale, scarponi pesanti, imbragatura intorno alla vita senza cosciali e chiodi, non conoscevamo i nut. Il tempo a disposizione era quello delle mie vacanze.
Com’è che da Chamonix sei arrivato negli Écrins?
Nel ’73 ero ancora nel gruppo del Monte Bianco e Boivin si era messo a fare vie di ghiaccio. Io non amavo quel genere di salite e un giorno, mentre eravamo sul ghiacciaio del Nant Blanc, abbiamo sciolto la cordata, senza litigare. Chamonix era come stare in una pentola a pressione, e ho deciso di andare a Briançon.
Crivellaro e Cahpoutot. Foto Andrea Giorda
Negli anni ’70, Giampiero Motti fece conoscere ai torinesi il mondo dell’arrampicata oltre il colle del Monginevro e la cordata di punta era quella di Cambon e Francou.
Sì, Bernard Francou è nato a Briançon. L’ho conosciuto al mio arrivo nel ’73, era uno che aveva delle idee all’avanguardia. Il nostro modo di scalare era ancora quello classico, scarponi e chiodi. Solo nella seconda metà degli anni ’70 abbiamo iniziato ad usare i grossi excentric per le fessure. Poi abbiamo messo i primi chiodi a pressione nel ’77 sulla Direttissima alla Tête d’Aval.
I primi spit, sette in tutto, li abbiamo usati nell’80 su Les Elfes sempre alla Tête d’Aval. Nello stesso anno, con lo stesso stile abbiamo salito la Voie de l’Étoile alla Aiguillette du Lauzet.
Erano chiodature molto essenziali, Gerard Vionnet, il primo ripetitore dell’Etoile è volato per più di otto metri in uscita dalla via, attaccato ad un chiodino dall’aspetto preoccupante messo al volo da Francou.
Siamo dunque agli anni ’80, anni rivoluzionari per l’arrampicata. Cos'è successo negli Écrins?
Nel 1981 con Francou abbiamo ancora fatto la Voie Directe de Gauche sulla nord ovest dell’Olan. Poi Francou è andato in Perù con Giancarlo Grassi, e si è fermato laggiù per fare degli studi sui ghiacciai. A partire dal 1982 abbiamo incominciato a mettere gli spit sistematicamente, ma solo sulle falesie utilizzate come palestra di arrampicata.
Nel 1983/84 ho incontrato due grandi compagni di cordata, Christian Ferrera e Gérard Fiaschi. Con loro aprivo vie un po’ a spit e un po’con i chiodi. Il 1986 è l’anno di Aurore Nucleaire sulla nord del Pic Sans Nom, io e Fiaschi siamo stati in parete tre giorni. Abbiamo messo 50 spit (con il perforatore, il trapano non c’era ancora) e circa 40 chiodi .
Jean Michel Cambon a casa sua. Foto Pietro Crivellaro
Certo queste sono belle imprese, ma gli Écrins non sono mai stati alla moda. É una regione molto selvaggia e la fama è quella di roccia cattiva. Cos’è che ti ha attirato qui?
Ho visto un posto dove c’erano ancora molte cose da fare. Sì, le marce di avvicinamento sono spesso estenuanti e le imprese non hanno risonanza. Quando René Desmaison ha fatto il Linceul in invernale sulle Grandes Jorasses, c’erano la stampa e la radio che seguivano ogni suo passo, negli Écrins sono state fatte invernali ben più dure, su pareti selvagge e nessuno ne ha saputo niente.
Ma qui in fondo c’è più tranquillità, a Chamonix è tutto più complicato.
Il titolo della tua prima guida uscita nell’88 faceva il verso alla cattiva fama degli Écrins e aveva come sottotitolo “…le 60 vie meno peggio”
Sì, era un titolo provocatorio perché la gente fosse incuriosita e venisse a vedere che qui si potevano fare delle belle salite. La scelta è stata quella di mettere in uno stessa guida le vie moderne e le grandi vie classiche.
Pierre Chapoutot. Foto Andrea Giorda
Gli spit, sono un problema per il Parco degli Écrins?
Diciamo che negli anni si è arrivati ad un buon compromesso. Per le pareti in quota all’interno del parco esiste una regolamentazione più stretta che tende a salvaguardare gli itinerari storici e a non creare affollamento di vie.
I giovani non sono più attirati come una volta dall’alta montagna. Com’è la situazione qui?
Anche qui l’alpinismo è meno praticato, ma ci sono luoghi come i contrafforti dei Bans o l’Aiguille de Sialouze che sono molto frequentati. Negli anni ’70 c’era meno scelta: o facevi vie di fama, rischiando di fare anche mille metri di terra come sulla Gervasutti-Devies al Pic Gaspard, o se volevi fare una via difficile su roccia, c’era la via dei Savoiardi all’Aiguille Dibona e ben poco altro.
Comunque nelle mie guide metto anche le vie classiche con le notizie storiche, perché ora c’è un po’ la tendenza a magnificare il nuovo e a buttare nella spazzatura il passato.
Tutte le tue vie sono aperte dal basso?
Sì, tutte le vie importanti.
Quale tecnica adotti per mettere gli spit?
Un tempo il trapano non c’era e si facevano non più di tre tiri al giorno, come quando abbiamo aperto Ranxerox alla Tête d’Aval. La tecnica, per fare il foro dello spit, è quella di fermarsi su piccoli chiodi precari, cliff hanger. Amo molto il bricolage… e fortunatamente non ho mai fatto grandi voli, ho paura!
Restano ancora molte belle vie nuove da aprire?
Alcune pareti sono esaurite, ma cercando, in alta montagna c’è ancora qualcosa.
Comunque bisogna essere prudenti, perché tante volte si è detto che era stato fatto tutto, anche dopo la via Kelle alla Tête d’Aval nel 1965!
La guida che dice le moins pire (le meno peggio) e la dedica di Cambon
Quali sono le vie che consiglieresti agli italiani per venire a conoscere il massiccio degli Écrins?
Mah, è una domanda difficilissima. Bisognerebbe distinguere se su calcare o granito, su quale difficoltà. Facendo uno sforzo direi Ventre a terre sull’Aiguille de Sialouze. Poi, una via che fatto epoca, Aurore Nucleaire sulla nord del Pic Sans Nom e, per far piacere a Chapoutot Nous partirons dans l’ivresse sulla sud ovest del Petit Doigt du Glacier Carré (Meije).
No scherzo, è una bella via, piace anche a me. Nous partirons dans l’ivresse è il titolo di un libro, era un messaggio in codice…
La compagna di Cambon ci fa capire che il tempo degli eroi è finito, c’è un bimbo da andare a prendere, così non sapremo mai quale significato avesse il messaggio cifrato.
Per noi è tempo di ripartire, la giornata è grigia e al colle del Monginevro non si passa, c’è molta neve. Ritorneremo dal Frejus.
Andrea Giorda Caai - Alpine Club UK