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Lou temp passo, pass'lu ben! Essere gestore di un rifugio ai tempi del Coronavirus

di Massimo Manavella, Gestore del Rifugio Selleries

Il nostro lavoro rientra nei mestieri superflui.

Visto attraverso le lenti degli occhiali che siamo stati obbligati ad indossare con l’Emergenza Covid-19. La gestione di un rifugio è, senza ombra di dubbio, tra le professioni meno indispensabili.

Forse ci sono altri lavori molto più rinomati, davvero poco utili in questo preciso frangente storico ma, come ho già detto in altre occasioni, io sono in grado di parlare del mio piccolo angolo di mondo alpino, nemmeno di tutto il mondo alpino.

Il Rifugio Selleries è chiuso, per quale motivo sono così tanti i rifugisti-gestori che rimangono, comunque, nelle loro strutture? A cosa serve? Cosa fanno e come si sono organizzati?

Queste le domande che ci sentiamo porre al telefono, oppure nei messaggi ed attraverso la posta elettronica.

Ed è vero. A cosa serviamo?

Quasi tutti noi, ogni mattina, condividiamo, attraverso le reti sociali, i lavoretti in corso, i pensieri in evoluzione e le immagini che riusciamo a fermare. Poi le poesie, le indicazioni su temperature e precipitazioni. Non c’è necessità, in questo momento, che ci mettiamo a parlare di stabilità del manto nevoso, perché nessuno ha bisogno di indicazioni per salire, non potendo muoversi di casa.

Parliamo di montagna per mantenere un filo di collegamento con tutti gli appassionati, ogni giorno, come prima si accendeva la stufa od il camino, per rendere accogliente il rifugio all’arrivo di coloro che avevano deciso di salire. Come ogni giorno si è sempre preparato il pranzo, anche senza sapere se qualcuno sarebbe arrivato, in modo da avere, sempre, qualcosa di caldo da potare in tavola con puntuale rapidità.

Accoglienza quindi, nonostante tutto. Anche sapendo di non avere nessuno da accogliere. Il Rifugio è un posto sicuro che c’è con ogni tempo. Quindi anche durante le intemperie da virus. Accoglienza che si traduce e si trasforma in un telefono che squilla e qualcuno, comunque, risponde: al mattino presto come alla sera tardi. Che si traduce e si trasforma nel pubblicare una foto o due al giorno, immagini che parlano sempre di una Montagna, che di questi tempi è più distante è più in salita del solito.

Accoglienza quindi, nonostante tutto. Anche stando chiusi e si approfitta per scrostare i muri e dare il bianco, fare pulizia a fondo e sostituire le cabine delle docce. Per essere più a posto quando si potrà ripartire: quando si riaprirà la porta. Perché siamo assolutamente certi di riaprire e siamo, ancora e sempre, qui per dimostrarlo: Il Rifugio è un posto sicuro in un mondo inquietante, i rifugisti-gestori lo ripetono da sempre.

Quando il Dirigibile ITALIA, negli anni ’30 del novecento, si schiantò sorvolando il Polo Nord, i superstiti si costruirono una tenda fra i ghiacci, nella quale ripararsi. Con un telegrafo mandarono messaggi e richieste di soccorso, che vennero denominati “i Messaggi dalla Tenda Rossa”. Alla fine i soccorsi arrivarono e la vicenda si concluse. Ma l’immagine nitida della tenda rossa e dei suoi messaggi telegrafici, rimase per decenni nel pensiero e nei discorsi delle persone comuni di tutta la penisola.

Ecco! Le immagini che i rifugisti-gestori mandano giù dai loro avamposti, le informazioni e le riflessioni che circolano sulle reti sociali pubblicate dai vari rifugi, in ogni caso custoditi, sono l’equivalente moderno de “I Messaggi dalla Tenda Rossa”. Non arrivano dal Polo Nord, ma dall’Arco Alpino che sovrasta la Pianura Padana, dove il flagello è più cruento ed insistente. Arrivano direttamente nelle case, senza obbligo di frontiera.

Difficilmente i rifugisti-gestori parlano di numeri e cifre quando si confrontano, in tempi normali, con chi chiede loro notizie sulle difficoltà del lavoro. Tantomeno lo fanno adesso, in tempi critici. Preferiscono parlare di neve, di montagne, di granito e di stambecchi. Difficilmente si sente un rifugista-gestore elencare i numeri di pernottamenti persi con questa chiusura non prevista. Difficilmente si sente un rifugista disquisire su marchi di abbigliamento o di strumentazioni per calibrare i tempi di salita: tutti preferiscono parlare del tempo atmosferico e di come sia complicato decifrarlo in questi ultimi anni. Il gestore-rifugista non è un tecnico d’agenzia di viaggi, non vende pacchetti tutto-incluso. Il rifugista-gestore parla di sogni, di nuvole, di linee di salita non ancora percorse, di neve intonsa.

Ecco! Il senso che c’è nello stare in rifugio anche quando è chiuso. Come di questi tempi.

In fondo si è scelto di trasformare la passione per la montagna in un mestiere, in una professione. Proprio per poter rimanere in montagna e non dover scendere la domenica sera, perché il lunedì si deve tornare al lavoro, aspettando con ansia il fine settimana successivo. Si è scelto, più o meno consapevolmente, di girare di meno per montagne, di rimanere vincolati ad un luogo, per diventare parte di quel luogo: sapendo perfettamente di non essere indispensabili alla montagna, ma, per contro, di essere utili a coloro che vogliono andarle in cima.

Scalare montagne collezionando cime è il soffio di gioventù che c’è in ogni uomo. Come gli innamoramenti rapidi e leggeri, numerosi e pieni di profumi che si vivono da giovani. Decidere di eleggere un rifugio ed un angolo di montagna come luogo nel quale fermarsi, è un passo simile ad un matrimonio. Succede sovente, tra uomini ma anche tra donne, di chiacchierare e sentir dire “…io in montagna ho bisogno di poter andare in giro libero, scoprendo posti nuovi: non riuscirei a restare fermo, sempre, nello stesso luogo, pur se in montagna…“. Succede sovente che uomini ma anche donne, usino il medesimo ragionamento parlando di rapporti sentimentali. In fondo, si tratta di impostazioni di vita. Del senso che si vuol dare al proprio vagare.

Voilà! Non sono sicuro di aver risposto alle domande riportate all’inizio, ma questo è quanto.

In questo momento sono le 4,30 del pomeriggio di lunedì 23 marzo 2020 ed all’Alpe Selleries c’è un rifugio nel quale i giorni passano, anche se l’Europa si è fermata. Mano a mano che i giorni scorrono sempre di più aumenta il dubbio su quando e come riapriremo le nostre porte. L’obbiettivo che ci siamo dati è di trascorrere al meglio questo tempo che ci siamo trovati come regalo anomalo.

La meridiana dice “lou temp passo, pass’lou ben!” (il tempo passa, passalo bene). Ecco! Questo, da un paio di settimane, è un po' il nostro mantra giornaliero. Non sprechiamo il regalo anomalo. Per carità, i problemi, i malati, i morti, l’economia, il sistema, il governo, il lavoro e tutto il resto.

Ma guardiamo l’altra parte della Luna, la dark side: “… ma quando mai avremmo, nemmeno lontanamente, potuto immaginare di poterci organizzare i nostri giorni, liberi dai vincoli che da sempre ci tenevano impiccati?...”

Ma questa è tutta un’altra storia e, per il momento, io la chiudo qui.

 

Massimo Manavella

Gestore del Rifugio Selleries e ex-presidente AGRAP - Associazione Gestori Rifugi Alpini e Posti Tappa del Piemonte

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