

La storia del Cai a puntate, l'alba del Novecento
di Club Alpino Italiano
Annibale Salsa ci racconta gli anni a cavallo tra Ottocento e XX secolo. In questo periodo il Club alpino italiano prende a cuore la missione di "fare gli italiani"
Il Cervino visto dal Riffelberg hotel, Svizzera, 1900 ca.Foto Centro Documentazione Museo Nazionale della Montagna
La quarta puntata del nostro viaggio nella storia del Cai è dedicata alle trasformazioni di inizio Novecento. Annibale Salsa ci racconta questi anni.
"Superata la fase pionieristica e fondativa delle origini, gli anni a cavallo fra Ottocento e Novecento vedranno l’espansione organizzativa e associativa del Sodalizio. In tal senso verrà posto all’Ordine del Giorno dell’Assemblea Generale, da parte della Sezione di Venezia, il problema del riconoscimento giuridico del Cai. Anche la questione dell’ampliamento della Capanna Regina Margherita al Monte Rosa, attraverso la separazione fra locali per ricercatori e locali per alpinisti, sarà messo al centro delle attenzioni del nuovo decennio. Sebbene di meno rispetto ai tre decenni passati, e nonostante la ferma volontà dei dirigenti di rimarcare la vocazione nazionale del Club, l’impronta piemontese risulta ancora pienamente percepibile.
Anche nelle Sezioni del nord-est e del centro-sud appena costituite, la presenza di soci provenienti dal vecchio Piemonte sabaudo e trasferitisi per lavoro nelle altre regioni italiane, avrà una rilevanza piuttosto marcata. Ne sono indicatori incontestabili molti cognomi di chiara derivazione subalpina. L’area geografica che registrerà le maggiori adesioni in tale periodo riguarda il cosiddetto triangolo industriale: Torino, Milano, Genova, con le rispettive Sezioni. Una certa novità è rappresentata, però, dallo scavalcamento numerico dei Soci della Sezione di Milano rispetto alla Sezione madre di Torino.
La lettura disaggregata del dato numerico sta a significare, comunque, come la matrice geo-sociale degli aderenti sia riconducibile alla vocazione industriale e urbana di questo territorio e alle spinte alla modernizzazione del Paese che essa sollecita. Dal punto di vista sociologico, vi è una sostanziale omogeneità fra l’Alpine Club di Londra ed il Club alpino italiano. Scienza e tecnica, laicità e liberalismo economico rappresentano, infatti, l’orizzonte nel quale si colloca l’associazionismo alpinistico.
Frattanto, anche il quadro politico generale muta e il Cai, fortemente connotato da un’impronta istituzionale e dalla vicinanza al potere di molti suoi Soci già fin dalle origini, rifletterà i mutamenti sociali e di costume in atto nella società italiana del tempo. Le priorità riguardano, ad esempio, il problema dell’istruzione. Si avverte sempre di più la necessità di estenderla a nuove fasce di cittadini del nostro giovane Stato, sorto da esperienze amministrative molto diversificate fra loro. L’Italia è una nazione segnata non soltanto dai dislivelli orografici della montuosità del territorio ma, soprattutto, dai dislivelli socioeconomici fra le differenti regioni. La stratificazione sociale del Sodalizio è ancora profondamente caratterizzata da appartenenze aristocratiche e alto borghesi legate, queste ultime, all’esercizio delle tradizionali professioni liberali. Tuttavia, il senso della cittadinanza attiva e della promozione civile fanno del corpo sociale del CAI una realtà tendenzialmente illuminata, sensibilmente vivace nella vita pubblica attraverso il suo apporto volontaristico. L’impegno civile e morale nel “fare gli Italiani”, memori delle enunciazioni post-unitarie di Massimo D’Azeglio e di Vincenzo Gioberti, trova nel tessuto associativo un terreno fertile di fecondazione. Molte Sezioni promuoveranno iniziative di aiuto solidaristico nei confronti di bambini e famiglie residenti in quei paesini di montagna dove si andranno a costruire i rifugi, le nuove frontiere dell’avvicinamento cittadino alle montagne.
Gli anni del decennio in esame sono anche caratterizzati da forte pressione demografica sulle montagne alpine ed appenniniche. Ciò determinerà pesanti disboscamenti dei versanti con i rischi connessi al dissesto idrogeologico. La sensibilità ambientale del Cai contribuirà ad attivare, in molte Sezioni, programmi intensi di rimboschimento e di bonifica territoriale. Siamo agli esordi di quella che sarà la festa degli alberi. Oggi, invece, le cose stanno diversamente e il fenomeno dell’inselvatichimento, connesso all’abbandono della montagna, impone scelte quasi opposte in grado di favorire il mantenimento di prati e pascoli, scrigni di biodiversità. In tal senso, la tradizione scientifica del CAI dovrebbe immunizzare i Soci e simpatizzanti da derive ideologiche di fondamentalismo ambientalista, ponendo l’accento sulla corretta distinzione fra ecologia scientifica ed ecologismo ideologico.
L’interpretazione storica dei fatti, e non la loro assolutizzazione dogmatica, dovrà essere sempre la via maestra per capire la montagna e la società. Sul fronte delle nuove tendenze politiche e culturali si vanno accentuando, a livello europeo, segnali di un crescente nazionalismo che spesso male interpreta le istanze democratiche del Risorgimento. Le Alpi si trasformeranno lentamente da “terreno di gioco” a “terreno di scontro” fra opposte nazionalità. Ne risentirà anche il Cai al proprio interno. L’appoggio fornito alle istanze nazionalistiche relativamente alle “terre irredente”, contribuirà ad alimentare nei Soci la concezione secondo la quale le montagne alpine sarebbero una barriera divisoria (nozione di “sacro confine”) fra i popoli e non una cerniera fra contigui versanti. Nel Nord Est del Paese, per iniziativa del glottologo goriziano Isaia Ascoli, si faceva strada la nuova nozione, assai discutibile, di “Tre Venezie” o “Triveneto”. Nozione che sarà sfruttata in seguito dai nazionalisti (Ettore Tolomei, il disinvolto italianizzatore del Sud Tirolo e Angelo Manaresi, Presidente del Cai imposto dal regime fascista) allo scopo di giustificare l’intervento italiano nella Grande guerra e l’occupazione del Tirolo meridionale (Trentino e Alto Adige).
Dalla fine degli anni Ottanta e per tutto questo decennio, fino alla morte avvenuta nell’anno 1907, si eclisserà dalle pagine del “Bollettino Cai” la penna francofona del Socio Onorario Amé Gorret, il prete alpinista valdostano noto come l’Ours de la montagne. Il rifiuto, da parte della Redazione, di ospitare gli scritti in lingua francese del prestigioso Socio valdostano, segnerà il passaggio a un’epoca di crescenti incomprensioni linguistiche fra regioni alpine abituate, da secoli, alla prassi della territorialità della lingua. In questi anni, si porrà anche la questione di rivedere la tradizionale suddivisione classificatoria delle Alpi, prodromica della revisione toponomastica degli anni a venire".
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