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Il Cercaguai

Ovvero, un’avventura sul Truc la Mura, una delle più temibili vette dell'intera Val di Susa

Partito in solitaria giovedì 25 ottobre verso l’una da Condove, Lodovico Marchisio imbocca la mulattiera del “Truc La Mura” (o “le Mura”) per lasciarla dopo circa 200 metri verso destra in corrispondenza di un’edicola religiosa con a lato una panchina. Il sentiero segnato in blu divalla verso Caprie e il pilone votivo fa da spartiacque tre le due località della bassa Valle di Susa. Proseguendo per un’esile traccia che si perde nel fitto del fogliame (sempre a destra di chi sale da Condove), ci si trova sulla lunga cresta che termina verso il piano sopra la “ex cava di Caprie” dove vi è un reticolato che segnala il pericolo dell’incombente residuato della cava. Ma per raggiungere il punto culminante il cammino è lungo e periglioso in quanto la traccia si perde in un sentierino attualmente impercorribile invaso da spine e caduta di rami, a causa spaventoso incendio dello scorso anno.
Va da sé che le tracce del sentiero che conducevano in vetta si perdono in questo marasma di rami caduti e delle spine che (rinate) hanno invaso il passaggio.


Per raggiungere la cima non vi è quindi altro sistema, attualmente, che proseguire lungo la cresta composta da evidenti affioramenti rocciosi, senza lasciarsi ingannare da sporadiche frecce bianche dipinte chissà da chi, confusamente, su alcuni risalti rocciosi, in maniera molto sporadica e non continuativa che pertanto non indicano la via da seguire, ma confondono solamente l’escursionista. La logica quindi porta a seguire la cresta libera da spine che però costringe a salire e scendere ogni risalto roccioso (e sono ben quattro le varie anticime da scavalcare) per scendere obbligatoriamente e non comodamente in vista del prossimo salto nei punti meno scoscesi.
Pur avendo con sé uno spezzone di corda e qualche rinvio con fettucce da infilare eventualmente attorno a qualche masso, Lodovico – con supremo sprezzo del pericolo, fulgido esempio di alpinistiche virtù – prosegue in “libera” per risparmiare tempo.
Tosto, però, si trova in difficoltà tra un torrione e l’altro perché purtroppo deve comunque scendere nella zona boschiva e attraversare parti invase da spine e rami caduti che ostruiscono il passaggio e occludono ogni possibilità di proseguire speditamente. Facendosi largo tra le spine arriva in vista dell’ultimo salto dove un palo di ferro e il recinto (con cartelli di pericolo), prima citati, gli segnalano con certezza d'essere giunto sul lato più orientale della cima, dal versante di Caprie anche identificato come “Rocca della cava”. Davanti  a Lui si vedono solo il vuoto e il fondovalle e a lato la Rocca Bianca di Caprie, di poco più elevata.


Essendo solo le 15 valuta di avere più di 3 ore di chiaro per tornare al punto di partenza, visto che è impensabile l’idea di scavalcare il reticolato per scendere direttamente nei pressi di Caprie. Ma la smania di raggiungere la vetta ad ogni costo gli gioca brutti scherzi, tanto più che ha già 71 anni sul groppone e non si dovrebbe mai avventurasi da soli in luoghi che non si conoscono, anche se nella sua vita ha salito molte cime oltre i 4000 metri e arrampicato in valle un po’ dappertutto, oltre ad avere scalato un migliaio di volte il Monte dei Cappuccini di Torino. Ripercorrere a ritroso il percorso dell’andata diventa estenuante, eppure ogni volta che tenta di evitare la cresta rocciosa s’infila in grovigli di spine che gli bloccano il passaggio mentre le ore trascorrono veloci.
Quando finalmente inizia a vedere in basso i primi caseggiati di Condove sono le 17 passate e il sole comincia ad imbrunire. Per la fretta di non farsi cogliere dal buio, sprovvisto di pila frontale e avendo un cellulare vecchio stampo, senza torcia incorporata, cerca di scendere direttamente l’ennesimo salto roccioso.

La pertinacia del Nostro viene doviziosamente ricompensata: guai cercò e guai trovò, ad libitum, perché improvvisamente un appiglio cede e Lodovico cade nel vuoto.
Gli frenano la caduta i pantaloni che si squarciano completamente e si arresta quattro metri più in basso, sotto una provvidenziale crepa nella roccia colma di rovi che (sembra ridicolo dirlo) gli fanno da cuscino e gli impediscono di volare molto più in giù con esiti presumibilmente fatali.
La mano destra, il gomito e il ginocchio sinistri, sanguinano copiosamente, ma se avesse perso coscienza, lì nessuno l'avrebbe potuto mai trovare.

Mai molestare i gatti selvatici

Con animo virile il tapino getta il cuore oltre l'ostacolo e con mirabile ardimento risale in libera il perfido salto roccioso e una volta in cima chiama il 118. Il validissimo soccorso alpino valsusino si mobilita subito e, appreso che può camminare, lo invita a continuare a scendere il più possibile finché è chiaro. Miracolosamente raggiunge il pilone votivo e qui, più rilassato, attende il volontario che lo sorregge fino a valle e gli presta le prime cure fino all’arrivo della Croce Rossa di zona, che lo conduce all’ospedale di Susa per le cure del caso.
Per amore di verità e per tributare pieno merito al nostro Eroe va doverosamente ricordato che Egli già sei anni or sono, durante l'esplorazione di un nuovo itinerario nel Parco della Dora, scoprì un metodo infallibile per terminare le gite al Pronto Soccorso, come testimoniato dall'immagine qui sotto.

Di ritorno dal fronte di Caporetto


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tag escursionismo vallesusa marchisio truc-la-mura

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