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High Sierra, America First!

di Martina Mastria e Filippo Ghilardini

-Девушка
-No, guarda che bambina si dice девочка, ragazza si dice Девушка
-Cavolo, hai ragione, povera Tatiana, con noi due avrà filo da torcere.

Si, sono parole russe, alfabeto cirillico, una lingua bellissima, ma perché? Perché Martina ed io ci siamo sciroppati un anno di corso di lingua russa, ogni martedì, con la mitica Tatiana, dolcissima maestra bielorussa, dalla santa pazienza, ma non fatela arrabbiare. La domanda tuttavia rimane, PERCHE’?

Beh, semplice, perché in vacanza si va in Kyrgyzstan! Ad esplorare questo 94% di territorio montuoso, scalare le big walldella valle di Karavshin, aprire vie nuove total clean, poi sconfinare per percorrere le infinite steppe del Kazakhstan, visitare le 1000 cupole turchesi dell’Uzbekistan!

Tutto è quasi pronto, la macchina bloccata, i voli quasi. Ma questo non era un articolo sull’High Sierra, California, USA?!

Beh si, in pieno stile Martina e Filippo, alla fine siamo andati in California!

Oltre 3000 Km di strada, una decina di vie scalate, una mezza giornata di falesia, almeno 6 parchi visitati e tante, tantissime immagini che rimarranno indelebili nei nostri occhi e nelle nostre menti, un’avventura che pareggia e forse supera le nostre ultime peripezie in Islanda e Norvegia artica.

Tutto nasce per colpa del nostro amico Fabietto, che con la sua tipica ed ingegneristica efficacia organizzativa ed arrampicatoria, in una manciata di giorni, tra un periodo di nevicate da era glaciale, un’inondazione e lo scoppio degli incendi, era riuscito in primavera a scalare il Nose, nella bassa valle di Yosemite. Filippo, invitato a partecipare, rifiutò a causa delle sopracitate ed incombenti calamità naturali –non ce la faranno mai-: Fabio in realtà riuscì nella sua impresa, con la sua proverbiale caparbietà. La fortuna aiuta gli audaci, ed a me rimase un po’ l’amaro in bocca, per dirla con un eufemismo.

La valle di Yosemite in estate è abbastanza off-limits, fa molto caldo e sulle big wall bisogna portarsi appresso tantissima acqua, la salita si ridurrebbe per buona parte ad un mero issarsi su in qualche modo; ma lo Yosemite è molto grande! Fa parte di una catena montuosa chiamata Sierra Nevada (o High Sierra), lunga 640km, che raggiunge la sua massima quota con i 4421 metri del Mount Whitney, cima più alta degli USA. Ed è costituita da un granito eccezionale!!!

Verificato brevemente che i voli sono acquistabili senza aprire un mutuo, la meta viene approvata dal gran consiglio e prenotiamo! Resta il problema auto, gli affitti sono molto costosi, ma fortunatamente incappiamo in un sito stile airbnb, ma di auto, che ci permette di affittare, da un signore cinese, un macinino per meno di un terzo rispetto alle compagnie tradizionali. L’unico problema è che l’auto in questione si è poi rivelata rumorosissima, tanto da costringerci a guidare con i tappi nelle orecchie, però la prossima volta il nostro amico ci offrirà una fantastica Mercedes o una Lexus, allo stesso prezzo, per sdebitarsi, ricordatecelo!

Atterriamo dunque a San Jose, l’aeroporto cugino sfortunato di quello di San Francisco, montiamo sul nostro bolide e decidiamo, in preda al Jet lag, di visitare immediatamente San Francisco. Come sonnambuli ci aggiriamo per le strade della mitica città dei fiori, ma ciò che vediamo un po’ ci turba: tanta delinquenzahomeless che campeggiano con le loro tende sui marciapiedi, a due passi dalla city, droga e sporcizia ovunque, decidiamo che non fa poi tanto per noi, meglio le montagne! Dopo un tour delle famose strade in salita, Golden Gate ecc, cerchiamo un posto per dormire, che come ormai d’abitudine, la prima notte non troviamo, si dorme in macchina. Senza saperlo soggiorniamo nei pressi di un famoso spot per Surfisti, che la mattina presto circondano la nostra auto, preparandosi per l’oceano.

Non abbiamo un vero piano, se non di accedere da Nord alla statale 395, che percorre tutto il lato Est della Sierra, per poi scendere verso Sud, magari passare da Los Angeles e poi tornare a San Francisco. Nel mezzo: SCALARE!

Ci sono tantissimi posti dove arrampicare, da luoghi come South Lake Tahoe e Tuolumne Meadows, o la stessa Yosemite Valley, dove le pareti sono piuttosto vicine alle strade, fino ad arrivare alle vere e proprie cime della High Sierra, con giornate piene di avvicinamento, fino ad i contrafforti del Whitney, accessibili dalle zone desertiche di Bishop, Indipendence e Lone Pine.

Sorge subito un primo grosso problema: incendi. La California in questo periodo è dilaniata da numerosissimi fires, di grandi e piccole dimensioni, che ormai da quasi un mese arrostiscono foreste e praterie. Sono mappati abbastanza bene, quindi alcune località non sono proprio accessibili, il vero problema è il fumo, che ruota in base ai venti, e va a rendere invivibili aree anche molto lontane, guarda caso proprio zone come Tuolumne Meadows, dove vogliamo andare. Per di più siamo privi di connessione ad Internet, se non quella rubata a qualche grill lungo la strada, e decidere dove e cosa fare è complesso: il cervello di Filippo spesso va in sovraccarico, ed a Martina grava il compito di evitare nuove combustioni.

Seguendo dunque il nostro inesistente Master Plan, attraversiamo le vigne di Napa, Sacramento, ed imboccata la statale 50 accediamo alla Eldorado National Forest. Siamo nei pressi di South Lake Tahoe, una famosa ed amena località turistica, dalla quale ci teniamo ovviamente lontani. Ci fermiamo infatti a Strawberry, una villaggio composto da un bar, un lodge ed un bosco con qualche piazzola per campeggiare. Vagando in cerca di roccia da scalare, scopriamo che fa caldissimo, ma almeno non c’è fumo. Tentiamo di raggiungere un’area denominata Phantom Spires, accattivante, dove pare sia anche possibile campeggiare liberamente. Scopriamo essere cosa del tutto impossibile per via del caldo, ci attraversa la strada anche un Rattle Snake, RITIRATA!

Non ci resta che andare al Bar ad affogare i nostri dubbi. Incontriamo un signore gentilissimo, e preparatissimo in tema di birre, il quale ci introduce in primis alle fantastiche IPA, indian pale ale beers, di cui facciamo subito largo uso, e ci fa sapere che siamo nel posto giusto! C’è un bel campeggio semi-libero, vanno lasciati 10 dollari in una buca; a due passi ci sono le pareti di Lover’s Leap, numerose strutture rocciose che non superano i 150mt, tutte vicine e concatenabili, costituiti da una roccia incredibile, ricca di “Dikes”, intrusioni rettilinee di quarzo, quasi sempre orizzontali. Insomma se ci sbrighiamo riusciamo a portare a casa una breve via di 2/3 tiri sull’avancorpo, a 5 minuti dal campground. Gli diamo retta, ma purtroppo annebbiati dalle sue birre non troviamo la parete, ma troviamo comunque della roccia e saliamo, forse una nuova via, sui 100mt, non difficile, dalla quale ci siamo calati in maniera non molto raccomandabile.

Il nostro non-piano prevedrebbe, in base alla posizione geografica Nord-Sud di levar le tende e procedere verso l’area di Bridgeport, ovvero verso l’Incredibile Hulk, una montagna maestosa, esteticissima, il top dell’High Sierra! Sui 3400mt e con parecchie ore di avvicinamento. La sensatezza direbbe che sarebbe opportuno affrontare tale bestia dopo un po’ di acclimatamento alla scalata locale, o almeno aver smaltito il Jet Lag, ma tant’è. Il nostro amico tuttavia ci dissuade, -Lover’s Leap è bellissimo! Dovete stare qui almeno un paio di giorni, e poi tutto il fumo degli incendi va esattamente all’Hulk- BeerMan Dixit.

Decidiamo dunque di rimanere, e non ce ne pentiamo, la roccia è fantastica, e all’ombra si sta anche bene. Scaliamo tre vie in giornata, ovviamente completamente da attrezzare, non siamo mica venuti fin qui per scalare con spit, chiodi e soste scintillanti! Conosciamo anche due simpatici ragazzi californiani, Gavin&David, o David&Gavin, una sola entità, non abbiamo ancora capito chi è uno e chi l’altro. Ci beviamo qualche birra insieme, e come tutti quelli che abbiamo incontrato, ci dicono: ahh, l’Hulk, anche noi vorremmo andarci, prima o poi! Questo non fa che aumentare la ralla di Filippo.

Stupiti dalla velocità con cui saliamo placche e fessure, e credendo che tutti gli italiani scalino solo sul calcare delle dolomiti, ci regalano una guida nuova di pacca di un’area purtroppo molto lontana, i Needles: - se qua passeggiate, la troverete pane per i vostri denti!- sembra davvero un posto incredibile, temibilissime facce di granito liscio, fessure nette, licheni gialli come al Valsoera, manco uno spit, i puma nelle foreste e campeggio selvaggio, ci andremo la prossima volta, grazie!

E’ dunque tempo di andare a prendere la statale 395, che ci condurrà verso Sud: un giorno di viaggio se ne va quindi tra la ricerca dell’alcohol per il nostro fornetto svedese, poi gloriosamente trovato in un negozio di vernici (utilizzo altamente sconsigliato dal venditore), e l’attraversamento di aree incendiate. Raggiungiamo Bridgeport, base per raggiungere l’Hulk, tuttavia becchiamo forse l’unico temporale di tutto Agosto, ricordiamo il consiglio del Costi e ripieghiamo sulla visita di Bodie. Bodie è un villaggio di cercatori d’oro, nel bel mezzo del deserto, abbandonato da un giorno all’altro, finita la vena. Ogni cosa è ancora come e dove era stata lasciata: affascinante ed un po’impressionante. Ripartiamo e decidiamo di proseguire verso Tuolumne Meadows, altra località dove vorremmo passare un po’ di tempo, ma che pare purtroppo interessata dal fumo degli incendi. Rischiamo e siamo fortunati, perché il fumo non c’è, ma c’è un posto in campeggio, cosa più unica che rara.

Super eccitati dalla presenza degli innumerevoli Dome, panettoni di roccia, costituiti da eccezionale granito a Knobs, piazziamo la tenda e la sera stessa ci mettiamo subito in cerca di qualche fessura da scalare. Ovviamente ci troviamo su delle placche lisce di 4° grado invece che sul sentiero, ma la voglia è tanta, ed il fiuto ci porta alla base di bellissime crepe, contornate dagli knobs più fantastici che avessimo mai visto fino a quel giorno. Ne scaliamo un paio ed al buio, felici, ce ne torniamo al camping a cucinarci una gigantevole pastasciutta.

Avevo visto qualche foto in giro di una via al Daff DomeCrescent Arc, moderatamente temuta, mi sembra un buon approccio alla scalata locale! Un bell’arco che da terra arriva praticamente fino in cima al panettone, attorno solo placca lisciata dai ghiacciai. Ci svegliamo la mattina presto, è esposto ad Ovest e quindi approfittiamo dell’ombra mattutina, abbastanza svelti arriviamo su, ed il panorama è incredibile.

Tuolumne Meadows (si legge Too-all-oh-me) è l’area più “alpina” del parco di Yosemite, nel quale è situata, accessibile da Est dal Tioga Pass (3031mt), si distende in piane erbose a base 2600mt circa, costellate da struggenti strutture tondeggianti denominate Domes, mediamente attorno ai 3000mt, fantastiche da scalare per il loro mix di fessure e compattissime placche a knobs. Ci sentiamo un po’ californiani anche noi, ed il raggiungimento dell’”altopiano”, come scrivevano Motti e Grassi, ha un sapore speciale.        

Una delle caratteristiche dell’area, è che è terreno naturale per la vita degli orsi! E’ quindi necessario fare parecchia attenzione a come e dove si conservano i propri cibi e la propria spazzatura. Tutto va riposto in appositi armadi metallici, provvisti di speciali aperture “a prova di orso”.

Una notte sentiamo parecchio trambusto, gente che grida, auto che si aprono e chiudono. C’era un orso in giro per il campeggio! Tutti si sono preoccupati quindi di sistemare bene le loro cose, ed evitare il casino in auto: agli orsi basta vedere un po’ di roba ammucchiata, o annusare una cartaccia, per fare uscire lo Yogi che c’è in loro, artigli nella portiera e via, la scatoletta è aperta!

Decidiamo di stare ancora qualche giorno in questo paradiso, dove i telefoni non prendono, non ci sono strutture fisse se non un tendone ad uso di piccolo supermercato, la prima doccia è a Lee Vining, a 45 minuti di macchina e sei sempre seguito affettuosamente da scoiattoli e Chipmunks.

Scaleremo ancora il Fairview Dome, il più imponente, per la Regular Route sulla parete Nord, esempio di logica ed esteticità della linea, aperta negli anni ’50! In cima la vista a 360°, come preannuncia il toponimo, è incredibile, come la nostra gioia di essere li, in quel momento, insieme. Ci raggiungono poi due signori tedeschi, che ci seguivano, i quali ammettono che erano 5 anni che tentavano questa salita, ma non erano mai riusciti a completarla per via di cordate troppo lente davanti a loro. Non gli sembrava vero di avere davanti due italiani senza paura, ahah! (cit.). Ci raccontano che da diversi anni vengono in vacanza a Tuolumne, prenotano di anno in anno un permesso per soggiornare nella wilderness, ed anche loro, indovinate, sognano di scalare l’Hulk, prima o poi! Attenzione, livello di ralla sopra i limiti di guardia!

La discesa è molto interessante, almeno 600 mt di placca di 2°grado, con passi di terzo, qualcuno non ha gradito! Per fortuna era piena di Knobs!

Visto che siamo stati veloci, decidiamo nel pomeriggio di fare una salto nella vera Yosemite Valley, in fondo vorremmo fare una via anche li, magari all’ombra, sulla parte “facile” dell’Half Dome. Il nostro “salto” si traduce in realtà in un paio d’ore di auto, andata e ritorno, non è per niente vicino. Le pareti sono veramente impressionanti, il Capitan è un enorme monolito che sbuca, come un fungo, a due passi dalla strada. L’Half Dome, pur spaventoso, è più in alto e quindi se ne perde un po’ la dimensione ciclopica, ma le sue pareti sono altrettanto, se non più emozionanti. Tutt’attorno, straordinarie pareti granitiche di ogni tipo. La nostra visita si conclude con il gigantesco panino “El Capitan”, culinaria consolazione, ed un paio di considerazioni: c’è davvero troppa gente e fa troppo caldo per godersi una via qui, ora, torneremo nel periodo giusto perché pareti del genere non possono non essere scalate!

Scaleremo ancora un giorno a Tuolumne, Est Crack al Daff Dome, più qualche monotiro in attesa che una lentissima cordata procedesse. Il giorno dopo, curiosi di cimentarci con un po’ di face climbing, andiamo a visitare l’area “sportiva” dell’East Cottage Dome, famosa per la quantità e qualità degli Knobs. E’ un’arrampicata davvero unica, in punta di piedi e di dita, dove l’aspetto psicologico ed il fiuto la fanno da padrone, visto il posizionamento degli spit mediamente a 4 metri, ma a volte anche di più. I primi sono pure colorati di marrone per mimetizzarli! Tiri favolosi, indimenticabili! Pare che una linea fosse stata aperta da John Bachar, ovviamente in free solo. Allucinante la sua forza mentale e tecnica, considerando l’aleatorietà di arrampicare su knobs “vergini”, pronti a sbriciolarsi. La Bachar-Yerian al Medlicott Dome resta un sogno nel cassetto, ben riposto per la prossima volta, o forse quella dopo ancora. :-)

Il nostro viaggio prosegue dunque verso Sud, accantonando ancora l’idea di salire l’Hulk, forse non ce la sentiamo, ed ormai siamo parecchio lontani. Ci rechiamo a Mammoth Lakes, un po’ la Sestriere della zona, dove per la prima volta percepiamo la presenza di vita mondana e festa! Una sorta di fiera vinicola ci accoglie a braccia aperte, e per Martina che lavora nel mondo del vino ed io che ne sono un gran… estimatore, non poteva che esserci benvenuto migliore.

Si dorme e si procede ancora verso Sud, dove deserto, caldo e montagne che spiccano altissime dalla piana ci avvolgono. Curiosa Lone Pine, succursale di Hollywood per quanto riguarda tutti i film western ed ambientazioni desertiche, addirittura i primi Star Wars furono girati qui. Avevamo vagheggiato la possibilità di scalare nella zona del monte Whitney, ma la rigidissima regolamentazione di accesso e soprattutto i 40 gradi all’ombra, ci suggeriscono una rapida ritirata.

Ta-daa, ebbene si, alla fine la ralla è troppa, tornare senza averlo salito sarebbe un po’ una sconfitta ed un tarlo nella mente per chissà quanto tempo. Dopo tanti pensieri torniamo indietro, 250 km sui nostri passi e rieccoci negli sterminati pascoli di Bridgeport, l’Hulk ci aspetta!

Ci siamo dovuti procurare uno speciale permesso per poter bivaccare alla base della parete, che è situata in una wilderness area, ottenibile dai ranger di Bridgeport. Un Bear Canister, ovvero un contenitore con chiusura ermetica a prova di Orso, e spesso di umano, per riporre qualsiasi cibo o rifiuto, che potrebbero attirare i cari mammiferoni. Fatto ciò, siamo partiti per il lungo avvicinamento, piuttosto carichi, che ci ha impegnati mezza giornata. Avevamo i sacchi colmi di corde, tenda, sacchi a pelo, filtro per l’acqua, fornetto, cibo e di coraggio (i.e. due serie di friend e di nut).

La via più ovvia da salire, anche se non la più facile, è il Red Dihedral, aperta negli anni ’70, quasi 400 metri di linea, completamente priva di attrezzatura, arriva alla cima vera e propria dell’Hulk (poco meno di 3400 metri), dalla quale una complessa discesa a piedi riporta alla base.

Si tratta di una via logica, bellissima, sulla roccia più fantastica di tutta l’High Sierra, a quanto dice la nostra guida –It can’t get any better-. Il tiro chiave è un diedro perfetto di 40mt, ovviamente rosso, di difficoltà costante con uscita tecnica ed un po’obbligata, su piccole prese. La difficoltà maggiore, come sempre su queste vie, resta comunque il trovare il giusto percorso, la lunghezza e la complessità della parete, nonché l’aspetto logistico e soprattutto la discesa!

Veloci e sicuri, partiamo davanti a due ragazzi, -tra cui un indiano amante della carbonara, indispettito dal non trovare il guanciale negli USA- molto forti, ma che dopo averle tentate tutte per superarci, si sono un po’ persi sul facile, ce la godiamo quindi interamente senza nessuno davanti, la maniera più pura e bella di affrontare una via del genere.

Potevamo scegliere di evitare gli ultimi tre tiri ed andare a cercarci le calate dell’unica via della parete con soste a spit, chissà dove, ma non ci è neanche passato per l’anticamera del cervello, dovevamo andare in punta!

Avevamo saputo il giorno prima del tragico incidente in Tanzania di Massimo, che sicuramente ci avrebbe chiesto: ma siete arrivati in punta?! Si Max, siamo arrivati in punta.

La guida minimizzava la discesa, dicendo che con un po’ di downclimb avremmo reperito una calata da 30 mt, e poi con un po’ di scrambling (i.e. ravanamento), in 45 min saremmo tornati agli zaini. Impossibile! Guardiamo giù e vediamo una parete ripida, con passi almeno di 4° grado ad attenderci, espostissima. Ci leghiamo in conserva protetta e cautamente scendiamo, reperita la calata, su spit da 8 più vecchi di me, ci inseriamo in un sistema di canaloni, che ci riserva ancora dei passi di 5 da descalare, in un paio d’ore abbondanti torniamo al nostro campo.

Smontiamo tutto e ci incamminiamo verso il labirinto di partenza, un enorme campground per i mostruosi camper in stile “trasnformer” americani, circa 3 – 4 ore. La guida ci dà la giusta motivazione per scendere di buon passo, il grill alla base chiude alle 21! Arriviamo alle 20.45 e scopriamo che nei feriali chiude invece alle 20, Martina trattiene le lacrime, saltiamo in auto come invasati ed in una mezz’ora arriviamo ad assaltare il primo Pub di Bridgeport, un paio di IPA e lehotsprings della mattina dopo ci riportano nel mondo dei vivi.

Ci restano ancora 2 giorni, Martina vorrebbe vedere le famose sequoie californiane, dopo l’Hulk tutto le è concesso, perché dunque non spararsi 6 ore di macchina ed andare a visitare il Sequoia National Park?! Detto fatto, e ci troviamo ai piedi del Generale Sherman, 11mt di diametro per 32 di circonferenza, che belva!

Il giorno dopo ci avviciniamo a San Jose, dormiamo sull’oceano a Santa Cruz, sperando anche di fare il bagno. In realtà farà freddo ed il clima sarà umido, ma avremo tempo di riposarci, trascorrere una bella date night insieme, ascoltando musica dal vivo con un paio di IPA, e di preparare i bagagli.

Riconsegnata la nostra supercar a Long, il quale ci contatterà per scusarsi per il rumore dell’auto, oltre i suoi sospetti, e ci fornirà un cospicuo ed ulteriore sconto. Ci mangiamo un sostanzioso taco, lasciamo ad un homeless il cibo rimasto e ci imbarchiamo alla volta dell’Italia.

E’ stata un’avventura, non tanto per la difficoltà di ciò che abbiamo fatto, quanto per la logistica. Senza un programma, come diceva De Andrè, dimmi come ci si sente… Viaggiare in questo modo ti fa sentire totalmente libero, ma è anche un grosso impegno psicologico. Avevamo poco tempo, 12 giorni considerando i lunghi voli, ma siamo riusciti a fare e vedere un sacco di cose. E’ un modo di esplorare che forse non rilassa, ma che è dettato da una fame insaziabile di conoscere, provare esperienze, mettersi alla prova. E dalla RALLAAmerica First! (No political meaning)

Martina Mastria e Filippo Ghilardini, Bataclan ed istruttori della Scuola Nazionale di Alpinismo Giusto Gervasutti _ Agosto 2018


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