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In ricordo di Flavio Melindo

di Carlo Crovella

Nell’estate 2018, non certo avara di notizie poco simpatiche, abbiamo dovuto fare i conti anche con la scomparsa di Flavio Melindo.

Per tutti noi della Scuola di scialpinismo della Sucai la perdita di Flavio è un evento molto doloroso sul piano emotivo. Per me, a titolo personale, lo diventa ancora di più, vista la conoscenza pluridecennale che ci accomunava.


Flavio Melindo in gita con l’immancabile radiolina, qui in versione “moderna” (Foto Arch. Fam. Melindo)


Nel ricordare Flavio mi riesce arduo distinguere la componente istituzionale dalle mille giornate condivise insieme. In ciò incide anche la presenza di Flavio nella fatidica giornata (Ferragosto 1984) al Pic de Neige Cordier in Delfinato, quando fui vittima di un gravissimo incidente alpinistico. L’elevata capacità dei compagni di cordata nel provvedere alle operazioni di soccorso (in un contesto storico in cui non esistevano i telefoni cellulari) mi ha sicuramente permesso di esser qui, oggi, a scrivere queste note. Senza dubbio il contributo di Flavio in quell’occasione è stato determinante e quindi gli sarò debitore per sempre.

Sbrigo subito la parte istituzionale, che (seppur di indiscutibile importanza storica) ai miei occhi è, paradossalmente, quella meno rilevante. Flavio Melindo era Istruttore Nazionale di Scialpinismo (INSA) e ricoprì il ruolo di Direttore della Scuola Sucai per un triennio consecutivo nei primi anni ’70. Fra le numerose gite del suo mandato spiccano per importanza la tre giorni in Dolomiti (Passo Tavega-San Virgilio-Cortina, marzo ’71) e l’ascesa di alcune vette di 4000 metri: Allalinhorn (’71), Alphubel e Strahlhorn (’72). Terminato il mandato, Flavio non si è mai allontanato dalla Scuola, assicurando una presenza costante e costruttiva sia sul terreno che in sede decisionale.

Il tutto condito da una conoscenza approfondita delle montagne, non solo in veste innevata, e da un interesse particolare verso i temi della sicurezza, interagendo in ciò con la sua preparazione da ingegnere. Fu proprio Flavio a introdurre l’uso delle radio durante le uscite della Scuola Sucai: all’inizio pare fossero attrezzature artigianali, cioè di sua costruzione, poi di produzione standard, ma pur sempre riservate ai radioamatori. Me le ricordo benissimo, quelle enormi radio nere che venivano date in corvée agli allievi considerati promettenti e per questo “degni” di portare pesi nello zaino! Oggi ci si muove con micro radio che stanno nel taschino, ma l’inizio era decisamente pionieristico.

Fu pionieristico (seppur in senso traslato) anche l’effetto di Flavio nella mia vita di adolescente liceale. Per frequentazioni familiari ci capitò di condividere numerose occasioni di vacanza. Flavio Melindo si rivelò uno di quei due o tre “fratelli maggiori” grazie ai quali si è forgiato il mio modo di andare in montagna, dopo l’iniziale imprimatur paterno. Anagraficamente fra noi c’era una differenza di una ventina d’anni: era il giusto intervallo che consentiva di non essere troppo distanti come mentalità, ma neppure troppo vicini, ipotesi che avrebbe presupposto un’amicizia alla pari e non un rapporto “maestro-discepolo”.

Tutto ciò è iniziato ben prima del mio ingresso nella Scuola: le estati trascorse insieme a Bardonecchia nei primi anni ’70 costituirono, in questo senso, un tassello fondamentale. A ben vedere l’approccio alla montagna che mi giunse da Flavio (un approccio molto torinese, imperniato su serietà, piedi per terra, una montagna mai “strillata”) si estese anche oltre i semplici confini delle gite. Nelle sere, che rapidamente si trasformavano in notte fonda, trascorse nel giardino di Bardonecchia, eravamo tutti riunioni intorno al fuoco e Flavio ci conduceva nei canti alpini, altra sua grande passione (fino all’ultimo è stato una “colonna” del Coro Edelweiss).

Fu in quelle occasioni che imparai i canti della tradizione sucaina, come La Blanchisseuse, La Bergera, Barôn Litrôn, Signore delle Cime e mille altri…. Non era però possibile accennare al canto di vetta della Sucai, il Ciol mi me, proprio perché era un rito riservato esclusivamente alle vette. Imparerò quel canto solo frequentando la Scuola, circa un paio di anni dopo. Purtroppo sono un inguaribile stonato e ciò non mi ha permesso, in questo settore, di essere un degno allievo di Flavio.

Copertina della raccolta dei canti Sucai realizzata da Flavio Melindo per i 60 anni della Scuola (Foto Arch. C. Crovella)

L’approccio di Flavio si estendeva a mille altre occasioni di attività che, con il linguaggio odierno, definiremmo di outdoor. Nel settembre del 1977 con Flavio e Carla, ma anche con mia sorella Giuliana e Franco Tedeschi, ho “scoperto” il campeggio nautico, un modo di vivere il mare letteralmente immersi nella natura (gommone, tende montane all’imbrunire su spiaggette isolate, cena con il camping gas e splendidi bagni al sorgere del sole): dopo quell’esperienza nell’Arcipelago della Maddalena (Sardegna) non sono più riuscito a vivere il mare in modo differente, anche se al gommone ho sostituito la canoa o i semplici sandali per raggiungere calette appartate e selvagge.

Perché Flavio era sempre così, cioè aveva un approccio che non distingueva fra montagna e resto della vita. Spartano ma non austero, ingegnere ma non pedante, allegro ma non superficiale, a prima vista potrebbe apparire meno “effervescente” rispetto ad altri “pilastri” sucaini della sua generazione. Eppure la sua presenza è risultata altrettanto importante.

Mi piace ricordarlo anche in alcuni risvolti di spicciola quotidianità: data la sua abilità a “trafficare”, a tutti noi veniva naturale (nelle vacanze comuni) chiedergli di aggiustare un qualsiasi apparecchio elettrico o di saldare un filo di rame. “Oh por Flaviot!” lo si sentiva sommessamente brontolare, come chi non poteva dire di no, ma in realtà queste situazioni gli piacevano da matti. Ciò per due motivi principali: innanzi tutto per la sua natura profondamente ingegneristica, che gli faceva interpretare i problemi come delle piccole sfide da risolvere, e poi per la sua innata propensione ad aiutare sempre il prossimo.

Si tratta di caratteristiche che hanno segnato un’epoca e che oggi risultano appannate dall’attuale società prestazionale e consumistica. Eppure in quella congiunzione fra approccio alle montagne e modo di essere nella quotidianità si incentrava un raro equilibrio, di cui Flavio è stato sicuramente uno dei più significativi rappresentanti.

Ora che, per inevitabile fatalità della vita, si smagrisce via via la schiera di tali rappresentanti, il nostro modo migliore per onorarli è quello di proseguire il loro esempio, riproponendo il messaggio alle nuove generazioni.
Sappiamo che difficilmente saremo all’altezza di chi ci ha preceduto, ma ci impegneremo ugualmente in questo arduo compito.

Dai, ragazzo, attacca ‘ste pelli: è ora che ci incamminiamo.


Flavio conduce verso Cima Bosco il nipote Edoardo, allora di 9 anni (Foto Arch. Fam. Melindo)


Chi desidera maggiori informazioni sulla Sucai dei decenni passati può consultare il documento (cui fornì un cospicuo contributo anche Flavio, specie per gli anni ’60-’70) reperibile al link:
https://www.scuolasucai.it/joomla/index.php?option=com_content&view=article&id=24:una-visione-storica-della-sucai-torino-dal-dopoguerra-all-inizio-degli-anni-90&catid=16&Itemid=132

Per maggiori informazioni sul canto di vetta della Sucai:
https://www.scuolasucai.it/joomla/index.php?option=com_content&view=article&id=26:ciolmi-me&catid=16&Itemid=132


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