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La via normale al Gran Paradiso

di Valentina Saggese, ex-allieva della Scuola Gervasutti

È vero, la scala della difficoltà alpinistica la classifica F+ (Facile), qualcuno la definisce una semplice passeggiata ma io non penso che sia proprio cosi, soprattutto se non hai mai conosciuto la montagna sotto quel velo alpinistico che lei si porta dietro in queste ascensioni. La via normale per il Gran Paradiso, ecco di cosa sto parlando, il mio primo 4000.

Arrivati al rifugio Vittorio Emanuele II, io e i miei compagni di cordata ci sistemiamo nelle camere e cominciamo a ripassare le manovre su ghiacciaio, un po’ ansiosi di questa nuova piccola avventura che ci sta aspettando.



Ci svegliamo ancora con il buio, e insieme a tante altre cordate ci dirigiamo verso il nostro obiettivo. Lungo la prima parte del sentiero innumerevoli piccole luci padroneggiano calme, ricordando quasi una lunga processione religiosa.

Il silenzio ci accompagna, la montagna sta ancora dormendo, gli unici suoni sono quelli del torrente che porta l’acqua di fusione dal ghiacciaio sempre più vicino, il picchiettio dei bastoncini sui roccioni levigati, e il nostro fiato, che fa fatica a rompersi.

Arriviamo alla base del ghiacciaio del Gran Paradiso, è la prima volta che lo vedo, ma immagino che si sia fortemente ridotto in questi anni. La parte iniziale è figurata da un velo grigio ghiacciato che cominciamo a salire dopo esserci legati in conserva.

Per la prima volta nella mia vita, e nella mia brevissima se non quasi inesistente carriera alpinistica, mi sento davvero un alpinista. È pazzesco, un passo davanti all’altro, i ramponi che assicurano la stabilità e la facile salita, la picca stretta tra le miei mani, cordate davanti alla nostra e cordate dietro… tutto è così quasi irreale, mi sembra di vivere un sogno da tanto tempo atteso, sorrido, non riesco a trattenermi.



Alzo lo sguardo è vedo quella che viene definita la Schiena d’Asino, un ampio dorso innevato, è imponente, ma non fa paura, si lascia guardare e attraversare senza imporsi, è uno spettacolo davvero unico… sulla schiena tutte le cordate proseguono lungo la traccia disegnando un lungo serpentone che si muove fino alla sommità del dorso.

Oltrepassata questa parte veniamo travolti da un tempo non troppo gentile, un vento forte ci soffia contro, è piuttosto gelido, a tratti siamo obbligati a sorreggerci sulla picca che con facilità si infila nella neve regalandoci stabilità. La parte sinistra del mio viso è fredda. Comincio a riempire la testa di pensieri, e lo faccio volutamente per non sentire il freddo e la fatica. Ma non riesco a non pensare alla montagna, alle grandi cime, e al freddo, ma quello vero, quello che tanti alpinisti in passato hanno fronteggiato e che continuano a fronteggiare impavidi; penso alla determinazione che devono avere nell’affrontare delle difficoltà, dei pericoli e degli imprevisti che non riesco neanche a quantificare. E infine penso a me, chissà nella mia vita dove saprò spingermi e dove saprò fermarmi.



Torno in me e alla mia ascensione tentando di coprire con la moffola di lana il mio viso così freddo… finalmente riesco a riscaldarmi. Questo vento e questa visibilità nulla ci accompagneranno fino alla cima.

Ora ci aspettano gli ultimi metri prima di raggiungere la vetta, questo è il tratto più pericoloso, un passo tecnicamente facile porta con sé un salto di centinaia di metri di vuoto. Cominciamo a salire, sono molto concentrata su quello che sto facendo, e anche i miei compagni. Riusciamo a proteggerci lungo il passo, uno scarpone dietro l’altro e riusciamo a passare, l’emozione comincia a percepirsi, è sempre più forte. Intorno a me vigilano nuvole e vento… che buffo il destino, ancora una volta non vuole farmi godere del paesaggio che mi circonda dalla vetta.

Arrivo alla madonnina, sono felice, sono emozionata, non mi sembra vero di avercela fatta, di aver camminato per tutto quel tempo. Bacio la madonnina, è la prima volta che arrivo su un 4000, è la prima volta che respiro aria da quassù, è la pima volta che dà così in alto penso a quello che mi sta aspettando a casa, che non è qui con me… l’altra metà della mia felicità. Ma ho anche pensato a quanto sia capace la montagna e soprattutto una vera vetta, di staccarti dal mondo e di portarti con se in un viaggio unico e sorprendente.



Cominciamo a sentire un po’ di freddo, prepariamo una doppia che ci consente di evitare di ripercorrere quel passo e ci ricongiungiamo alla terminale.

La montagna e le nuvole iniziano a dare spettacolo, insieme ci regalano piccoli assaggi del paesaggio intorno, il quale si vede e non si vede. È magico.



Ripercorriamo la traccia al contrario, ma decidiamo di tornare al rifugio passando dal ghiacciaio di Laveciau. I crepacci che incontriamo sono davvero ampi, sono grandiosi, sembra che la natura si diverta a creare queste scenografie uniche.

È difficile nascondere la nostra felicità, non abbiamo alcuna voglia di tornare al rifugio… i nostri visi sono sereni ed entusiasti.



Ogni giornata alpinistica che concludo conferma sempre di più il fatto che ciò che mi spinge ogni volta ad affrontare una qualsiasi attività in montagna, che sia una breve o lunga via, o che sia una camminata interminabile su una ghiacciaio per una vetta, sia semplicemente la sensazione che al ritorno da questi piccoli viaggi mi viene regalata, quello che mi rimane dentro e che mi porterò nella vita quotidiana.

di Valentina Saggese

ex-allieva della Scuola Nazionale di Alpinismo G. Gervasutti


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