
"Facciamoci una sosta" - Avventure sulle pareti granitiche delle isole Lofoten, Norvegia Artica
“Safe!” Urlava al suo compagno di cordata il norvegese di fianco a noi, per avvisarlo che si era appena assicurato in sosta.
Mentre noi cercavamo di non appenderci, stando in equilibrio su di uno spigolo appena accennato, il nostro vicino si rilassava appeso a due nut, mentre il suo secondo avanzava. Due nut certamente ben posizionati, ma pur sempre due nut in tutto, pure piccolini! Ma dove siamo finiti?!
Ben oltre il circolo polare artico, le isole Lofoten offrono paesaggi mozzafiato, natura incontaminata e scalate entusiasmanti: i nostri otto giorni sono stati accompagnati da un sole caldo, che tramontava solo verso le 10,30 di sera, lasciando ancora un piacevole chiarore e da climbers dalle più svariate provenienze.
Per capire che aria tira sulle vie in Norvegia, decidiamo di attaccare la parete sopra il nostro “campo base”, a 5 minuti dalla tenda. Gandalfveggen, la parete del mago Gandalf (vi ricorda qualcosa?!), offre bellissime vie brevi, di diverse difficoltà e tipologia, ottime per un primo approccio, sempre sui 100 metri totali di lunghezza: mediamente 2 tiri, i norvegesi si fermano solo se c’è una cengia, e ci credo con le soste che preparano!
Fessure e spalmi sprotetti non mancano mai, ma la caratteristica fondamentale dei tracciati è però un’altra, sostanzialmente non esistono chiodi o spit di via, né soste. Per fortuna ci vantiamo di essere dei veri Trad-a-holic e un po’di dimestichezza su questo tipo di terreno l’abbiamo, ma che fatica trovare la via! Per non parlare di quando devi fare sosta a nut su un fessurino microscopico e c’è già qualcun’altro ad occuparlo.
I norvegesi non transigono: sull’unica guida attualmente disponibile, purtroppo datata 1994, è stampato a caratteri cubitali “Don’t bother coming here to go sport climbing!”, lasciate a casa i vostri tassellatori e lasciate decidere ai locali come e quando metter mani alle vie esistenti. “Visiting foreign climbers coming to climb in Lofoten, PLEASE OBEY the wish of the local Norwegian climbers that excessive bolting and retro-bolting found in so much of Europe be left far, far, far behind. LET EVERY CLIMBER STRIVE TO KEEP THE LOFOTEN ISLANDS A BOLT-FREE CLIMBING PRESERVE where natural all-nut protection is the rule, non the exception”.
In sostanza - per favore obbedite alla volontà degli arrampicatori locali di mantenere le pareti delle Lofoten molto, molto, molto lontane dalle eccessive chiodature di vie nuove e spittature di vie esistenti, come ormai vediamo in buona parte d’Europa - : 1994 ragazzi, teniamoci strette e lottiamo per preservare la nostra valle Orco, la nostra Sea!
Il rispetto verso la roccia e gli apritori è totale ed incondizionato, tutto ciò che viene posizionato va anche tolto, non ci sono eccezioni, se non è proteggibile, dovevi pensarci quando hai letto la relazione, bisogna andare!
P.s. Ricordati della sosta che hai fatto.
Il giorno seguente scaliamo Forsida, la più estetica delle vie che raggiungono la mitica “Capra di Svolvær”, tra fessureoff-width che ricordano la nostra disperazione e incastri per dita lillipuziane, la sorpresa più bella arriva agli ultimi metri della via. La cima è costituita da due specie di corna, sulla più alta delle quali vanno posizionati un paio di nut (ancora loro!!!), va preso un discreto lasco di corda, e bisognaSALTARE sull’altra torre, per circa un metro e mezzo di volo. Ad attenderci una bella fessura, ovviamente all’altezza dei piedi, per poter assicurare il secondo. Che adrenalina, e che paura, dover emulare quella che è addirittura l’immagine simbolo della città, è impressa anche sui tombini!
Ormai ci siamo acclimatati, ed i sogni iniziano a prendere forma. Tutti i giorni, percorrendo la stradina che ci porta alla nostra tenda, scrutiamo sopra le nostre teste, rischiando costantemente il frontale con l’autobus di linea, un'enorme torre stagliarsi sul mare, è il Presten. Il “Sacerdote” di granito rosso, alto circa 500 metri, sul quale i leggendari Arild Meyer e Brynjar Tollefsen tracciarono nel 1978 una via rivoluzionaria, ilVestpillaren! Le notti iniziano a farsi agitate ed il desiderio si fa incontenibile, ma quanto sarà difficile? Si riuscirà a trovare la via senza perdersi?! E la “facile crestina” del ritorno, sarà davvero così elementare?
Innanzitutto dobbiamo parlare di gradi. La nostra recentissima guida si esprime in gradi norvegesi, più o meno tutto è dato sul 5 grado, a volte siamo sul 6, dove si parla di 6+ iniziamo a trovare frasi del tipo “A climb you won’t tell your mother you did”, un’arrampicata che non racconteresti a tua mamma. L’esperienza fin’ora acquisita ci permette sostanzialmente di valutare che sono state tutte delle gran legne. Alcuni si esprimono in gradi inglesi e decidiamo quindi di affrontare una via più breve del Presten, 4 tiri, ma di difficoltà paragonabili in termini anglosassoni, E2 5C, c’è anche chi parla di E3, bene, ma che vuol dire? Proviamo!
E’ quindi la volta della via più elegante della nostra gita “Solens Sønner”, figli del sole, allo Sjøsvaet, la placca del mare: già, qui le giornate sono infinite e ci si sente davvero in simbiosi col sole!
Il primo tiro è bagnato e si districa sullo zoccolo della parete, dovremmo trovare sosta sui soliti 3 nut, ma evidentemente dal 1994 ad oggi la montagna li ha fagocitati, sosta su di una fettuccia ammuffita, annodata ed incastrata in una fessura, ma tornassimo indietro ci riprenderemmo il friend rosso con cui l’abbiamo rinforzata, per gli interminabili 50 metri del tiro successivo.
Il secondo tiro è il chiave, dopo alcuni passi aleatori si arriva ad una comoda cengetta spiovente, secondo la nostra guida vanno piazzati DEI buoni nut si, sempre loro, siamo poi andati a comprarne altri-, per poi ridiscendere 5 metri e traversare per 10 su una placca stile “lavandino”, abbiamo imparato a diffidare quando si parla di mettere DELLE protezioni prima di procedere; a questo punto il crux: due piedi spalmati, micro fessurino (fradicio, ma tanto è sempre così, dicono) da tirare inDulfer e lancio alla fessura, ora più larga, finalmente si piazza un buon friend verde, respiro. Da qui, per un totale di 50 metri, altra, tanta fessura, per chiudere in bellezza con un traversino in spalmo, l’ultimo friend chissà dove, per passare ad una fessurina cieca parallela, una volta esauritasi la prima: come direbbe il buon Claudio, SPECIALE!
Sul resto della via abbiamo capito cosa significa “bold route”. Ebbene si, pensavamo di padroneggiare un inglese migliore, non vuol dire via “pelata, calva”-cavolo quello era bald- ma improteggibile, ardita: due friend malmessi, 25 metri di slego, tassello, 10 metri di slego. Tiro successivo: si parte da sosta su un vecchio tassello, collegato da un cordino marcio lungo 15 metri ad una piantina tipo basilico, 20 metri di slego in placca, tassello, altri 15 metri, riprendi conoscenza, sosta. Grado? Boh! Ce l’hanno pure chiesto i local… sicuramente obbligatorio!
NdR: Questi sono gli unici due tasselli in cui ci siamo imbattuti in 8 giorni, i nostri vicini di tenda scozzesi se ne sono lamentati.
Dunque, superata indenni Solens Sønner, decidiamo di chiedere al bar dei climbers se l’agognato Vestpillarenavesse un livello d’ingaggio simile, la risposta è stata: same difficulties, more run out. Bene, non ci andiamo, sul free solonon siamo allenati.
Ancora un paio di giorni interlocutori, ma mica tanto, ci portano a godere un po’ della natura, fare il bagno su una delle spiagge che danno il nomignolo alle Lofoten di “Maldive Norvegesi”, veder volare le enormi aquile di mare, far un po’ di boulder (c’è un blocco che è la copia spiccicata di “Separate Reality”, ad un metro e mezzo da terra!!!).
In un giorno di tempo instabile scaliamo a Pianokrakken, la parete d’iniziazione per eccellenza dove per caso incontriamo la guida a cui il ragazzotto del bar/negozio aveva riportato la nostra domanda riguardante il Presten: ebbene non aveva capito un bel niente! La via è “well protected”, che poi non vuol dire ben protetta, come pensavamo inizialmente, ma ben proteggibile, figurarsi se lasciano un chiodo in parete. Mai notizia fu di più grande sollievo per Filippo, attendiamo quindi il giorno di meteo perfetto e attacchiamo il “Sacerdote”, quasi 8 ore di arrampicata entusiasmante, per una via degna di essere paragonata alla mellica “Luna Nascente”, o meglio una “Oceano Irrazionale”, aperta negli stessi anni e simile come lunghezza e difficoltà, trasferita oltre il circolo polare artico. Super tiri infiniti, via da cercare, ma sempre logica e proteggibile, difficoltà continue, un sogno ad occhi aperti che sentiamo ancora sulle dita e nel cuore. La facile crestina di ritorno era veramente esposta!
Potremmo continuare per ore a raccontare della nostra piccola sognante avventura, dei voli fuori via di Filippo su microfriend (che non tengono nelle fessure svase, W gli offset nut!!), di Martina che vaga per ore tra gli infiniti mirtilli alla ricerca dell’attacco (della via Bare Blåbær, “Sono solo Mirtilli”), delle notti davanti al fuoco, ai piedi della parete, delle renne e delle alci, dell’esemplare etica Scandinava da cui avremmo tanto da imparare sia in arrampicata che nella vita quotidiana.
Ebbene torneremo e consigliamo a tutti voi di provare, cercare posti nuovi e lasciare il conosciuto per lo sconosciuto, ne rimarrete ammaliati e forse, come noi, inizierete a cercare quest’ultimo nelle scelte e nelle scalate di tutti i giorni. I satelliti del Tacul un po’ ci assomigliano :-)
di Martina Mastria & Filippo Ghilardini
membri della Scuola Nazionale di Alpinismo Giusto Gervasutti
+ leggi le relazioni delle vie e i consigli di viaggio per le Isole Lofoten
Potrebbe interessarti anche:

Val Grande in Verticale 2020, avventura e atmosfera del meeting di arrampicata nel Vallone di Sea
Luca Enrico, CAAI Gruppo Occidentale

Scuola Gervasutti, la ripartenza inizia col Corso di arrampicata “Trad”
