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Nina, il Monviso e la Festa della Donna

di Jessica Pedone

In occasione della Festa della Donna e dei 160 anni del CAI - fondato presso il Castello del Valentino di Torino il 23 ottobre 1864 - abbiamo intervistato la giornalista Linda Cottino, autrice del libro Nina. Devi Tornare al Viso.

 

La biografia racconta la storia dell’alpinista Alessandra Boarelli che, se non fosse stato per il maltempo e l’indecisione della guida alpina che l’accompagnava, avrebbe preceduto sulla vetta del Monviso i fondatori del Club Alpino.

 

Buona Festa della Donna dunque… e buona lettura!

Da dove nasce l’interesse per la storia di Alessandra Re Boarelli?

L’interesse mi è stato instillato dai festeggiamenti che il Cai Monviso-Saluzzo organizzò nel 2014 per i 150 anni della “prima” di Alessandra Boarelli. Quell’estate fu un fuoco d’artificio di iniziative, tra cui una mostra sull’alpinismo praticato dalle pioniere dell’800, che fui io ad allestire. Ci fu anche un gruppo di donne che andò in cima al Monviso e il Cai dedicò a lei il bollino annuale. In quell’occasione ci rendemmo conto di non sapere nulla della protagonista dell’impresa, della sua vita e delle motivazioni che la spinsero all’ascensione; così l’editore Paolo Fusta, molto attento alla storia locale, mi esortò: scrivi un libro!

La scelta di Alessandra di tornare alla vita di tutti i giorni dopo la conquista del Monviso fu influenzata dal fatto di avere un marito e due figlie?

Probabilmente sì, ma documenti che lo attestino non ne ho trovati. Alessandra Re era una donna volitiva, intelligente e colta, di spirito indipendente, abituata fin da giovanissima a prendere decisioni, e la salita al Monviso dimostra la forza di carattere e la sua visione. Non dimentichiamo che salì in cima nel 1864, ma l’idea e il primo tentativo erano dell’anno precedente, quando nessun italiano aveva ancora raggiunto la vetta. Non sappiamo se si ritenesse un’alpinista vera, come per esempio le sue contemporanee inglesi; è possibile che le bastasse aver dato corpo a un sogno che coltivava da tempo. 

Alessandra Re Boarelli vive nel periodo storico in cui le donne iniziano a lottare per la propria emancipazione e l’accesso ai diritti civili attraverso il movimento femminista, che all’epoca si identificava per lo più con le Suffragette inglesi. L’impresa di Alessandra si può interpretare come un’affermazione della necessità femminile di inseguire i propri sogni e le proprie aspirazioni e di liberarsi del ruolo esclusivamente riproduttivo fino ad allora attribuito alla donna?

Non credo che Alessandra fosse animata da un impulso di questo tipo, e nei documenti dell’archivio di famiglia non vi è cenno. L’aver perso la madre poco più che bambina e a 18 anni l’amatissimo padre, la costrinse ad assumere presto responsabilità importanti. Inoltre, il marito Emilio Boarelli era un uomo straordinariamente collaborativo, che supportava la moglie in ogni sua decisione. La volontà di salire sulla “montagna del momento”, icona incontrastata del neonato Regno d’Italia, che svettava proprio dietro la sua casa di Verzuolo, fu un’ambizione potente che reclamava di essere soddisfatta. E lei compì l’impresa. 

I giudizi negativi degli uomini nei confronti delle alpiniste donne erano la norma a quel tempo, ma nel libro viene dato spazio anche a figure maschili che hanno sostenuto le donne nelle loro imprese alpinistiche. Lo stesso Emilio Boarelli, oppure John Noll, marito di Eleonore Hasenclever, che curò la pubblicazione post mortem dei suoi diari, rendendo nota una forte alpinista altrimenti dimenticata. Al giorno d’oggi esiste ancora un pregiudizio nei confronti delle donne che praticano sport considerati tipicamente maschili?

Magari non dichiarato, ma il sessismo in Italia è vivo e vegeto. Basti pensare alle atlete, a cui non è ancora riconosciuto il professionismo. Il pregiudizio strisciante permea a tal punto la cultura sociale del nostro paese che, non essendo più sostenuto da teorie “scientifiche” come nei secoli passati, quasi non ce ne accorgiamo. E questo è molto triste.

In base alla tua esperienza, al giorno d’oggi, prevale la competitività sportiva o esiste invece una sorta di fratellanza tra alpinisti uomini e alpiniste donne?

Mica facile rispondere a questa domanda! Non farei un’affermazione di ordine generale. Penso che tutto si giochi su un piano soggettivo, sui rapporti che ciascuno/ciascuna riesce a creare. Quel che mi sento di dire è che la fratellanza oggi è in generale poco praticata; anche nel mondo della montagna, dove continuiamo a credere che alberghino sentimenti migliori.


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